«Buongiorno preside, sono un tecnico della città metropolitana. Sono qui per una ricognizione sugli spazi. Dobbiamo valutare come redistribuirli fra le scuole il prossimo anno». «Bene. Le anticipo che abbiamo cinque quinte e tredici prime, quindi ci servono almeno otto aule. Al secondo piano ospitiamo classi di un’altra scuola, mi sembrerebbe naturale che ridiate a noi quelle aule e troviate a loro un’altra sistemazione». «Sembra naturale, ma bisogna vedere. Ogni anno i presidi ci chiedono più aule. Non abbiamo tutti questi spazi». «Mi scusi, ma ci sarà chi aumenta e chi diminuisce. Basterebbe verificare» «E’ quello che stiamo facendo. Iniziamo il sopralluogo nella sua scuola?». «Volentieri». «Quest’aula libera cos’è?» «E’ lo spazio studenti, vengono quando non fanno religione o durante la pausa, prima del rientro pomeridiano» «Beh, potrebbe diventare un’aula. E questa?». «Qui i docenti e lo psicologo ricevono i genitori». «Si potrebbe mettere un’altra classe. E questo spazio grande?». «Facciamo riunioni e attività teatrali». «Ci starebbero due classi. E questi tre laboratori? Sono tanti». «Un linguistico, un informatico e un multimediale. Abbiamo 1200 ragazzi e sono sempre pieni. Non vorrà toglierne uno e fare classi anche qui?». «Senta, io sono un tecnico e il mio compito è trovare aule, poi sono i politici che decidono”. I presidi non dovrebbero tenere per sé spazi che non utilizzano, ma tecnici e politici non possono pensare che una scuola moderna sia fatta solo di aule. Perché non siamo un carcere, con le celle e poi l’ora d’aria. L’educazione ha bisogno di luoghi diversi e innovativi. E di libertà, non di compressione, altrimenti aumentano il disagio e la conflittualità, come dimostrano tutte le ricerche scientifiche. Per questo toglieteci tutto, ma lasciateci almeno respirare.
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