In questi giorni si discute molto della questione relativa ai festeggiamenti del Natale a scuola, a partire da un episodio avvenuto in provincia di Vicenza. Si tratta di un tema delicato, sul quale si sentono discorsi fuori misura e molte strumentalizzazioni politiche. Qualcuno intanto non ha ancora compreso un concetto semplice. Non essendo prevista in Italia una religione di Stato, la scuola pubblica ha l’obbligo costituzionale di essere laica e pluralista. Non è quindi possibile fare educazione imponendo il punto di vista di qualcuno su quello degli altri, ma solo mettendo insieme le idee, le culture e le tradizioni di tutti coloro che la frequentano. Se si segue questa semplice bussola, si trova facilmente la strada per risolvere il rebus del Natale a scuola. Non ci sono problemi per nessuno se nell’atrio della scuola si allestisce un albero di Natale, che rende conto di una tradizione. Mentre è evidente, ad esempio, che è del tutto fuori luogo affiggere un crocefisso o celebrarvi una messa, come capitava in un istituto tecnico dove ho insegnato alcuni anni fa. Invitare un vescovo è senz’altro possibile, ma solo se quell’invito ha carattere culturale ed è teso a promuovere conoscenza, non a indottrinare. E allora quell’invito si dovrebbe estendere anche a un imam o agli esponenti di altre religioni. Così per i canti religiosi. Si possono insegnare agli studenti ed anche farglieli cantare, ma, anche qui, solo per finalità culturali ed a condizione che sia garantito il pluralismo. Il canto religioso, a quel punto, avrebbe lo stesso valore della recita di una poesia o di un brano teatrale. La scuola pubblica non è una scuola privata, cioè la scuola di qualcuno. E non è nemmeno, forse occorre ricordarlo, la scuola di Stato. La scuola pubblica è semplicemente la scuola di tutti.
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