Il testo di un noto brano di Giorgio Gaber recitava così.
– Io mi chiamo G
– Io mi chiamo G
– No, non hai capito, sono io che mi chiamo G
– No, sei tu che non hai capito, mi chiamo G anch’io.
– Il mio papà è molto importante.
– Il mio papà no.
– Il mio papà è forte, sano e intelligente.
– Il mio papà è debole, malaticcio e un po’ scemo.
– Il mio papà ha tre lauree e parla perfettamente cinque lingue.
– Il mio papà ha fatto la terza elementare e parla in dialetto, ma poco perché tartaglia.
– Io sono figlio unico e vivo in una grande casa con diciotto locali spaziosi.
– Io vivo in una casa piccola, praticamente un locale, però c’ho diciotto fratelli.
– Il mio papà guadagna 31 miliardi al mese che diviso 31 che sono i giorni che ci sono in un mese, fa un miliardo al giorno.
– Il mio papà guadagna 10.000 lire al mese che diviso 31 che sono i giorni che ci sono in un mese fa 10.000 lire al giorno… il primo giorno, poi dopo basta.
– Noi siamo ricchi ma democratici, quando giochiamo a tombola segniamo i numeri coi fagioli.
– Noi invece segniamo i fagioli coi numeri… per non perderli.
– Il mio papà è così ricco che cambia ogni anno la macchina, la villa e il motoscafo.
– Il mio papà è così povero che non cambia nemmeno idea.
– Il mio papà un giorno mi ha portato sulla collina e mi ha detto: “Guarda, tutto quello che vedi un giorno sarà tuo!”.
– Anche il mio papà un giorno mi ha portato sulla collina e mi ha detto: “Guarda!”. Basta.
“Io mi chiamo G” mi è venuto in mente ascoltando il racconto di due studentesse venute in presidenza. «Vorremmo parlare dell’atteggiamento di una professoressa. Con le persone che hanno più difficoltà è sgarbata, le prende in giro e le porta ad esempio negativo. Con una nostra compagna che studia invece si comporta in modo diverso, è più gentile, la aiuta anche quando sbaglia e le perdona sempre tutto. Non ci sembra giusto».
Non so se queste ragazze abbiano detto tutta la verità, ma certamente a volte la scuola presta più attenzione a chi si presenta meglio. Spesso però si tratta di ragazzi che sono già stati socialmente più fortunati. Noi dovremmo preoccuparci invece maggiormente di chi ha storie e comportamenti difficili, anche se spesso è faticoso. Nel 2023 si celebrano i cento anni dalla nascita di Don Milani. Il miglior modo di ricordarlo sarebbe quello di fare della scuola un luogo dove si riducono le disuguaglianze sociali, non un ospedale che si prende cura dei sani e respinge i malati.
1 Maggio 2023 alle 7:36
Riporto un passaggio di un’intervista a Adele Corradi che è stata insegnante a Barbiana a fianco di don Milani:
A Barbiana ho assistito tante volte a scenate perché qualcuno non aveva capito qualcosa e non lo aveva detto, ma non ho mai sentito fare elogi a qualcuno per la sua bravura. Un ragazzo parlava bene francese aveva un accento che sembrava nato a Parigi. A lui veniva detto: ” Fai te il dettato di francese”.
Niente di più. Se un altro era bravo in matematica toccava a lui insegnare la matematica ai più piccini, ma non era un merito, un vanto, era un compito.
E siccome non esisteva il primo non esisteva neppure la competitività, su cui fanno leva tanti insegnanti moderni e di larghe vedute. A Barbiana a nessuno passava per la testa di essere il più bravo dei compagni. Si era lì per imparare, non era concepibile, non esisteva, l’idea di un confronto fra chi aveva imparato molto e chi aveva imparato poco, fra chi sapeva isprimersi bene e chi non si sapeva esprimere. Questo, secondo me, dava a tutti una grande serenità.