Un’insegnante molto amata viene a scuola, ma non si sente bene. Entra in una classe di studenti irrequieti e poco studiosi, ma molto affettuosi. «Ragazzi, non sto bene e ho poca voce. Per piacere, state tranquilli». Uno di loro, forse quello che meno rispetta le regole, interviene. «Non si preoccupi, prof, ci penso io». Si mette al primo banco e mantiene l’ordine. Appena qualcuno inizia un qualsiasi atto disturbante, lo rimette in riga.
Un piccolo episodio, che dice tante cose. Gli studenti riconoscono gli insegnanti, specialmente quelli che più si dedicano a loro. E ricambiano. Come possono, come sanno fare. Una protezione reciproca che scatta nei momenti di difficoltà. Ci sono mille storie di ragazzi e adulti che si trovano in passaggi delicati della propria vita. Lutti, malattie, tensioni familiari, disagi psicologi di vario tipo. Sempre, forse quasi sempre, si attiva il supporto. In forme e misure che a volte sorprendono. Ci sono insegnanti che vanno a trovare a casa o in ospedale studenti che non possono frequentare la scuola per aiutarli a recuperare, facendo molte ore di lavoro in più, spesso con riconoscimenti economici nulli o irrisori. Ci sono studenti che si stringono ai propri professori in mille modi quando li vedono sofferenti, comprendendo che il potere relazionale di essere venticinque contro uno è grande e può mettere in crisi.
Qualche tempo fa un’insegnante ha vissuto il dramma di un familiare molto caro che si è suicidato. Gli studenti le hanno scritto biglietti commoventi e al rientro le hanno fatto trovare un mazzo di fiori. I primi giorni di scuola hanno tenuto toni discreti e rispettosi. Poi una di loro le si è avvicinata e l’ha presa da parte per una confessione. «È successo anche a me». Si sono confidate e confortate a vicenda. È nata una vicinanza nuova, una relazione diversa.
Ecco, anche questo accade nelle scuole, ma se non se ne parla quasi mai. Le scuole, prima di ogni altra cosa, sono comunità di persone che provano a prendersi cura le une delle altre. Certo, non tutti sanno farlo, non tutti hanno i modi giusti. Né adulti né ragazzi. Per questo servirebbe per tutti una formazione che faccia crescere la nostra intelligenza emotiva.
Poi ci sono quelli che hanno un talento naturale, una capacità innata di stare vicino agli altri, di farli sentire accolti. Forse dovremmo ripartire da loro. Farli diventare leader potrebbe essere la chiave per costruire una scuola diversa.
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