Prima dell’inizio della scuola, un nuovo insegnante mi chiede un incontro. «Preside, nei mesi scorsi ho attraversato un periodo molto difficile per una grave malattia, che ha richiesto continue e lunghe ospedalizzazioni. Sono ancora debilitato e dovrò fare altre terapie, ma spero che il peggio sia passato. Vorrei rientrare a scuola, anche se i medici sono perplessi perché ho difese immunitarie basse e, in tempo di Covid, sono esposto a molti rischi. Ma mi manca la classe, mi mancano i ragazzi. Come possiamo fare?». «Professore, posso cercare con lei alcune soluzioni organizzative, poi la decisione finale rimane sua. Ad esempio, potrei darle una cattedra più “leggera” con meno classi, prevedere “ore di buco” per consentirle di riposarsi, ipotizzare lezioni all’aperto tutte le volte che vorrà. E, se andasse incontro a giorni più difficili, farle fare lezione a distanza con i ragazzi in aula. Oltre naturalmente a rafforzare le misure di sicurezza ordinarie: mascherine, distanziamento, areazione». Troviamo insieme altri accorgimenti. Si apre uno spiraglio insperato per il suo ritorno a scuola. Quando ci salutiamo, appare visibilmente rincuorato.
Nei giorni successivi il professore partecipa alle riunioni con i colleghi ed entra nelle classi per le prime lezioni. Lo incontro nei corridoi sempre sereno, sorridente, allegro, nonostante sia ancora sofferente. Provo a chiedere con discrezione come va. Mi aggiorna velocemente sulle sue condizioni di salute, ma poi preferisce soffermarsi sulle emozioni in classe. Mi racconta del suo lavoro, di come insegna la disciplina, di come sta con i ragazzi. Ha negli occhi la luce degli insegnanti bravi e appassionati. E si capisce che la scuola gli sta facendo bene, forse più delle mille terapie mediche.
In questi giorni davvero non facili, l’immagine di questo insegnante mi accompagna, mi commuove e mi ricorda il senso profondo del nostro lavoro. Un senso che a volte perdiamo tra le mille polemiche inutili di cui ama nutrirsi il dibattito sulla scuola e nella scuola. Ripartire dalle storie dei tanti eroi silenziosi che reggono le sorti della nostra società civile è forse l’unica possibilità che abbiamo per evitare di finire come in quei film western nei quali ci si spara tutti contemporaneamente e alla fine non si salva nessuno.
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