“La prof è una delle migliori perché quando spiega si vede la felicità nei suoi occhi”, si legge in un bigliettino scritto da uno studente. Difficile riassumere meglio quello che dovrebbe essere la scuola. Felicità. Per presidi, insegnanti e studenti. Il contrario di quello che è oggi nella maggioranza dei casi. Una fonte di infelicità, noia e stress. Dirigenti e insegnanti infelici stanno tirando su una generazione di studenti infelici. Questa è la triste verità. Alcuni lo fanno inconsapevolmente, altri lo teorizzano e lo praticano tutti i giorni. Costruendo scuole tristi e grigie dove si sta male. Utilizzando metodologie didattiche che mortificano gli studenti e gli stessi insegnanti. Proponendo contenuti che si ripetono sempre uguali, anno dopo anno. Impostando relazioni formali che annullano la dimensione personale. Avvolgendo la scuola di lacci e lacciuoli burocratici che non la fanno respirare.
Ci sono certamente mancanze politiche, ma alla fine la scuola siamo noi, la facciamo noi. Se siamo infelici, le responsabilità sono prevalentemente nostre. Per provare ad essere più felici, dovremmo cambiare i nostri schemi mentali e il nostro modo di agire. Togliendo dal tavolo l’idea che entrare in una classe sia stressante e che l’apprendimento si debba basare sulla sofferenza. Lavorare con bambini e ragazzi è un privilegio. Le difficoltà educative sono una sfida quotidiana entusiasmante. Aiutarli a trovare la loro strada e il loro posto nel mondo è gratificante. La scuola ha tutto per essere un luogo di felicità. Ma serve stare tutti dalla stessa parte, smettendola con le guerre quotidiane di presidi contro professori o di professori contro studenti.
Le regole, l’organizzazione, la didattica vanno costruite insieme, cucendo un abito su misura di tutti. Per questo serve una scuola libera e felice. Se invece continuiamo invece a pensare che le scuole serie siano quelle basata sull’obbedienza e sul carico di compiti per personale e studenti, alimenteremo altra infelicità. Che non può che produrre una società infelice.
7 Febbraio 2025 alle 13:58
Quante volte, parlando dei figli, si sentono genitori ripetere la stessa frase, magari con toni diversi : Ci vediamo a fatica, da piccoli stavano più con noi, ora passano a scuola la maggior parte della loro giornata….”
Ed è, questa, una verità inconfutabile, giusta e sopratutto così chiara nella sua evidenza:
A UN CERTO MOMENTO LA CASA DI UN RAGAZZO DOVE PASSA LA MAGGIOR PARTE DELLA SUA VITA DIVENTA LA SCUOLA,
la scuola in cui si vive, non solo che si frequenta, la scuola in cui si cresce e ci si forma fino ad uscirne maturi e più o meno consapevoli di quello che vogliamo per il nostro futuro…
Ognuno ha nella scuola un suo ruolo preciso, insegnare, dirigere, apprendere e IMPARARE, significati questi apparentemente simili, ma profondamente molto diversi nel loro contenuto.
Non guerre quotidiane, come lei dice, fra presidi e professori, fra professori contro studenti e studenti contro professori, aggiungo io. Pur mantenendo il rispetto dei ruoli è nella compartecipazione alla “VITA” che si sviluppa all’interno di una scuola ciò che fa “casa”, ciò che fa “famiglia” che, appunto, deriva da “famulus” ossia servitore. E’ nel SERVIZIO reciproco, responsabile, sereno e positivamente impegnato che dal poco si fa il tanto, come un bell’edificio costruito fino all’attico da un team di collaboratori instancabili ed entusiastici che ne hanno curato le fondamenta e i piani fino al terrazzo finale da cui tutti possano godere il panorama. Chi avrà salito a piedi, chi avrà usato l’ascensore, chi avrà avuto bisogno di sostare un po’ più a lungo a qualche piano per riprendere fiato, ma alla fine tutti ci hanno messo del loro e tutti hanno diviso equamente il valore di quello che insieme hanno realizzato , ognuno nella propria, giusta misura e secondo le proprie capacità e attività.
E perchè questa famiglia funzioni bene, compatta , solida e responsabile, limitiamo la pressante interferenza esterna dei genitori, che hanno certo un loro specifico ruolo educativo ma siano complementari e non essenziali in ogni luogo e in ogni situazione, nel rispetto ognuno delle proprie responsabilità.
Lasciamo che la scuola si faccia veramente “casa” per questi “inquilini” insegnanti, presidi e collaboratori scolastici che io continuo affettuosamente a chiamare bidelli, e di questi ragazzi che ne “hanno preso in affitto” i locali… E sappiamo rispettare la privacy di questa squadra che lavora in silenzio quando sentiamo dirci “PLEASE, DON’T DISTURB…”