Praticamente tutti giorni nella scuola ci sono lamentele di studenti e insegnanti sul modo di comportarsi degli uni verso gli altri. Tutti i giorni. Si passa da questioni più ordinarie e leggere ad altre più gravi. In alcuni casi le cose si chiariscono attraverso il dialogo e il confronto, altre volte no. Rimangono lì, con tutto il carico di malintesi e malumori. Parliamo di cose molto diverse tra loro. Di parole dette e non dette, di tono della voce che si percepisce sbagliato, di comunicazioni non verbali sgradevoli, di comportamenti e atteggiamenti che risultano aggressivi o invadenti urtando la propria sensibilità. Tutto questo alimenta la sofferenza e lo stress che studenti e insegnanti provano nel venire a scuola. Si parla spesso di ascolto, ma si pratica ancora troppo poco. Bisognerebbe ogni tanto “fermare le macchine” e parlarsi davvero. Per esprimere le ragioni del proprio disagio, per comunicare le proprie esigenze, per conoscersi di più e trovare punti di incontro e mediazione. Fare quindi dei patti, che tengano conto delle diversità, mediante i quali perseguire insieme gli obiettivi della scuola, cioè insegnare e apprendere in un clima di collaborazione e reciproco rispetto. Questo servirebbe.
Alla fine, siamo sempre intorno allo stesso punto. Il problema sono le relazioni. Ancora a scuola non sappiamo come gestirle. Il modo di raccontare la disciplina che insegniamo spesso non funziona. I gesti, la postura, la comunicazione verbale e paraverbale sono inefficaci perché nessuno ce ne ha spiegato i meccanismi e l’importanza nei processi educativi.
Uno studente ha scritto. «A me dà fastidio la mia insegnante quando urla. Perché di sicuro non è un urlo che ci fa entrare in testa le cose». Ecco, è un piccolo esempio, ma emblematico. Se pensiamo che urlando riusciamo a farci rispettare, a migliorare l’attenzione e a far apprendere, stiamo sbagliando. Eppure, lo facciamo. Uno dei tanti errori che tutti i giorni commettiamo a scuola. E che potremmo evitare se solo ci parlassimo, ci ascoltassimo e ci formassimo di più.
13 Febbraio 2025 alle 13:24
Un mio caro collega vicino alla pensione usava ripetere ,con la saggezza bonaria degli anziani, che prima di entrare nel posto di lavoro sarebbe bene lasciare fuori della porta, come si fa comunemente con l’ombrello, tutti i problemi e le seccature del nostro quotidiano, certi che nessuno ce li porta via e che poi ritroviamo ad aspettarci all’uscita…
In questa nuova era dove tutto o quasi tutto sta diventando artificiale, l’essere umano, proprio perchè tale, rimane esattamente com’è, un concentrato di sentimenti, di problemi, di incertezze, di un vissuto e di un “vivente” per cui “non tutti i giorni sono uguali” come non sono uguali i modi di gestire o di accettare o di risolvere certe determinate e soggettive realtà.
E se gli esseri umani non sono dei robot nemmeno possiamo contare su professori e studenti artificiali su cui basti fare un clic per settarne il comportamento e renderli sempre adeguati e perfetti.
Esiste in ognuno di noi una sfida naturale , una battaglia conflittuale che vorremmo tenere sotto controllo e sempre sapersi adeguare al momento e alle persone con cui lo condividiamo, ma purtroppo non è facile….
Quanti ragazzi, nelle storie che lei riporta, una volta richiesti del perchè di un certo comportamento hanno rivelato problematiche familiari e affettive, lutti quali la loro giovane età non è ancora preparata ad accettare, smarrimento per la mancata fiducia nelle proprie capacità, confusione e paura nei rapporti interpersonali…
Tutto questo non accade soltanto ai ragazzi, ma può accadere ad ognuno di noi nei momenti più impensati della vita, a ognuno di noi , adulti, anziani, vecchi… e non sempre possiamo sentirci maturi e pronti per affrontare ed accettare quello che la vita ci impone senza che il nostro comportamento, la pazienza, il coraggio e i buoni propositi ne vengano alterati e contaminati lasciando tracce del nostro scontento sui rapporti che abbiamo ogni giorno con gli altri e fuori dal nostro ambiente.
Nella scuola esistono due squadre , docenti e studenti, due squadre che dovrebbero riuscire a conglobarsi in un unico gruppo per combattere i nemici che ne minacciano l’integrità quali omertà, reticenza e incomunicabilità.
Allora, perchè fra i tanti “GIORNO DI… ” che ci vengono proposti di continuo non realizziamo anche noi nelle scuole un periodico “GIORNO DEL CONFRONTO” in cui le due squadre possano incontrarsi e , senza più nascondere lamentele e insoddisfazioni reciproche, possano metterle sul banco e renderle note a chi le provoca e a chi le subisce e valutandole insieme e con buona disponibilità all’ascolto, trovare, con un corale e sereno “perchè?”, la risposta e la soluzione ai problemi di ogni giorno’?