Ormai purtroppo non è più una notizia. I ragazzi stanno male. Vivono un malessere profondo, che esprimono in mille modi, discreti o rumorosi. Da tante scuole e da tante famiglie si levano le grida d’aiuto dei nostri adolescenti. Ma noi adulti non abbiamo risposte efficaci. Le cerchiamo affannosamente senza trovarle. Ci diamo un gran da fare, ma nulla sembra funzionare. Il loro malessere rimane tutto lì.
Un ragazzo di 17 anni mi aspetta fuori dalla porta. Nei giorni precedenti avevo parlato con sua madre e alcuni insegnanti. «Entra, siediti e parliamo con calma». «Preside, non ce la faccio più. Ho deciso di smettere e ricominciare a settembre». «Spiegami cosa succede». «Succede che non seguo, non capisco, non ho voglia. Non ho la testa. Quando sono in didattica a distanza accendo il computer, ma tengo la webcam spenta. In realtà sono a letto in pigiama. Ma anche quando vengo in presenza sono in difficoltà. Non riesco a concentrarmi e faccio confusione. Incontro i compagni, ma non basta. Butto via il tempo. Mi sembra tutto inutile. Preferisco andare a cercarmi un lavoro, qualcosa da fare». «Però così perdi un anno. Hai alcune insufficienze, ma se ti impegni ce la potresti fare». «Preside, le dico la verità. Quest’anno non ho studiato. Ho preso qualche voto positivo, ma in realtà non so nulla. E adesso non ho la testa per mettermi sotto a recuperare. Chiederò a mio padre di andare a lavorare con lui. Almeno mi sento utile. Ma non voglio smettere. A settembre rientrerò a scuola». Evito le frasi di circostanza e i pistolotti morali. Penso che dobbiamo anche rispettare i tempi e i sentimenti dei ragazzi. «Riflettici bene, parlane con la tua famiglia e poi fatemi sapere». Ne parlano. Il giorno dopo mi riferiscono che il ragazzo si ritira. La sua frase “non ho la testa” continua a risuonarmi nella mia, di testa.
Siamo di fronte a un’emergenza educativa. Stiamo perdendo tanti ragazzi e noi siamo inermi, impotenti. Non abbiamo gli strumenti per affrontare questa situazione. Spesso tendiamo ad applicare in tempo di guerra gli strumenti del tempo di pace. Ma non va bene. Dovremmo invece cercare una nuova misura delle nostre relazioni. Per questo serve starci vicino, ascoltarci, rispettare le nostre emozioni. E speriamo che basti.
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