Gabriele ha 15 anni. «Ciao Gabriele, come va questa scuola a distanza?». «Complessivamente bene, considerando la situazione in cui ci troviamo. Qualche lezione è più interessante, qualcun’altra meno. Ma questo è normale. Però a volte ci caricano un po’ troppo di compiti». «Ma tutti gli insegnanti si sono attivati? Come si stanno organizzando?». «Più o meno tutti fanno qualcosa. Molti programmano videolezioni, altri invece danno solo compiti o argomenti da studiare. Qualcuno registra lezioni audio e ce le manda, senza collegarsi in diretta». «E come ti trovi?». «Le lezioni registrate mi sembrano una buona soluzione, così ce le ascoltiamo quando vogliamo. Il professore che le fa è bravo a spiegare. Solo che è un po’ lento e mi annoio, faccio fatica ad ascoltarlo. Allora ho deciso che lo accelero». «Lo acceleri? Come lo acceleri?». «Sì, lo accelero. In genere lo metto a 1.75. Non posso accelerarlo troppo perché poi non si capisce quello che dice. Ma a 1.75 va bene. O anche a 1.50. Lo seguo meglio che a velocità normale».
Tra le cose che stiamo imparando dall’emergenza c’è anche questa. Per seguire alcuni insegnanti bisogna accelerarli. I nostri ragazzi viaggiano almeno una volta e mezzo più veloci di noi. Certo, lo sapevamo, ma una dimostrazione così plateale fa un po’ impressione. Noi adulti facciamo un gran parlare del valore della lentezza, che va anche bene. Ma, se vogliamo entrare in relazione con i ragazzi, non abbiamo scelta. Dobbiamo cambiare anche i nostri tempi, i nostri ritmi. Sembra una piccola cosa, ma non lo è. Il ritmo, nelle relazioni, può essere tutto. Può fare una differenza assoluta fra un discorso interessante e uno noioso, tra lo stare attenti e il cambiare canale, tra il coinvolgimento e il distacco. Chi lavora con i ragazzi non può non tenere conto di quello che loro sono oggi. Di quello che sono oggi, non dei ragazzi che eravamo noi venti, trenta o quarant’anni fa. Bisognerebbe guardarli e ascoltarli più spesso, chiedere come stanno, cosa pensano, cosa fanno. Non per fare come loro. Siamo diversi, abbiamo un’altra età, veniamo da un’altra stagione. Il nostro obiettivo non può essere imitarli, ma conoscerli sì. Altrimenti faremmo meglio a cambiare mestiere. Il compito della scuola è in fondo quello di raggiungere i ragazzi dove si trovano e cercare di portarli da un’altra parte. Aiutarli a scoprire cose che non sanno, conoscere altri luoghi, veri o immaginari, dove non sarebbero potuti arrivare da soli. Però è fondamentale partire da loro. Se sono più veloci di noi, dobbiamo imparare ad accelerare. Altrimenti rischiamo di andare avanti da soli. Nella scuola purtroppo capita. Capita di voltarsi e scoprire improvvisamente che non ci segue nessuno, che i ragazzi ce li siamo persi. Magari è solo un problema di velocità. Proviamo ad andare a 1.75. Se ci va bene, potrebbe bastare anche 1.50.
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