Consiglio di classe straordinario allargato a tutti i docenti e a tutti gli studenti. Un’iniziativa che si sta diffondendo in alcune scuole quando si sente il bisogno di fare il punto perché le cose non stanno andando come dovrebbero. Prende la parola per prima una studentessa. «Sappiamo che molti insegnanti non sono contenti del nostro modo di stare in classe. Vorremmo che ci spiegaste apertamente il vostro punto di vista». Gli insegnanti intervengono a turno e si trovano sostanzialmente d’accordo. «Ragazzi, durante le lezioni non avete un comportamento corretto. Chi si alza, chi chiacchiera, chi gioca con il cellulare. E poi i vostri toni sono sempre polemici, non rispettosi delle persone e delle regole. Alcuni di voi poi si rivolgono in modo davvero inaccettabile verso i professori». Lo studente con il maggior numero di note disciplinari si sente toccato. «Ok, d’accordo, io non sarò uno stinco di santo e qualche volta eccedo. Ma voi ve la prendete sempre con gli stessi. In realtà sono in tanti a fare confusione, ma si nascondono e voi non li vedete». Gli altri fenomeni in cima alla graduatoria dei rapporti annuiscono. Una delle presunte finte brave ragazze replica. «E’ vero che un po’ tutti chiacchieriamo e ci distraiamo, ma non vorrai paragonare il casino che fai tu con quello che facciamo noi». Interviene un professore. «E comunque ci sono studenti che, quando vengono rimproverati, interrompono immediatamente il comportamento sbagliato. Altri invece continuano imperterriti. Noi abbiamo il dovere di garantire un clima sereno a chi vuole studiare». Ad un certo punto, in questa scena classica del teatro della scuola in cui molti giocano al rimpallo di responsabilità, accade l’imprevisto. E arriva da uno studente. «Volevo dire una cosa. Io provo a stare fermo e seguire le lezioni, ma non ci riesco. Lo faccio per dieci minuti, un quarto d’ora al massimo. Poi non resisto, devo fare qualcosa. Muovermi, alzarmi, chiacchierare. E’ proprio un bisogno, che non riesco a controllare. Dopo un po’ sto meglio e allora posso di nuovo stare fermo e zitto. Per altri dieci minuti. Ma poi riparto. Non so che fare. Giuro che ci ho provato con tutte le mie forze, ma nulla». Tutti sorridono e lo guardano con tenerezza. Quell’intervento ci racconta molte cose. L’importanza di guardarsi con onestà, di riconoscere le proprie difficoltà, di assumersi le proprie responsabilità. E parla della fatica di tanti ragazzi nel tenere l’attenzione in classe. Una questione che riguarda loro, ma che interroga tutti noi. Non possiamo più fare scuola come si faceva una volta. Se vogliamo rimanere in contatto con le nuove generazioni, dobbiamo cambiare tutto. I tempi, gli spazi, la didattica, l’organizzazione, i linguaggi. E poi dovremmo domandarci se vogliamo davvero una scuola e una società in cui i giovani stiano sempre fermi e zitti. Forse anche no.
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