ragazzi che esprimono disagio verso la scuola sono sempre di più. Non so se perché loro sono troppo fragili o perché alcuni insegnanti li mettono troppo sotto stress, convinti che così facendo li fanno studiare di più. Alcuni giorni fa un padre mi chiede un incontro. «Mia figlia non vuole più venire a scuola. A volte arriva qui vicino ma poi torna indietro. Non ce la fa. Entra in crisi soprattutto quando ci sono compiti e interrogazioni. E’ a disagio ad affrontare una prova davanti ai compagni. Ha avuto anche attacchi di panico. Non so più cosa fare». «Mi farebbe piacere parlarci.» Il giorno dopo arriva una ragazza dolce, che racconta serenamente del suo disagio. Cerco di rassicurarla e la invito a provarci, concordando un po’ di flessibilità sugli orari in ingresso e in uscita. Poi decidiamo che, quando è in difficoltà, può venire in presidenza.
Con gli insegnanti poi individuiamo altre forme di attenzione. Nei giorni successivi la ragazza rientra a scuola, pur esprimendo ancora alcune forme di disagio. Un giorno bussa alla porta e mi dice: “Preside, posso stare un po’ qui? Sono un po’ agitata e ho bisogno di tranquillizzarmi». Chiacchieriamo un po’, poi mi dice: «Ok, ora posso entrare in classe». E’ una piccola storia, che tocca il cuore del nostro lavoro a scuola. Aiutare i ragazzi a imparare e a stare bene. E le due cose non possono esistere l’una senza l’altra.
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