Trump ha vinto. Non importa tanto che ci piaccia o non ci piaccia. E’ la democrazia. E andrebbe rispettata sempre, anche se a volte capita che il popolo scelga Barabba. Piuttosto potremmo sforzarci di capire cosa sia successo. Come un personaggio di quel tipo sia potuto diventare il leader della più importante potenza mondiale. Le ragioni sono molte e in questi giorni sono state ricordate. Innanzitutto la crescente insofferenza verso l’establishment, che gli americani hanno riconosciuto nella Clinton e che pare diffondersi in molti Paesi, come testimonia anche la Brexit. Trump ha poi certamente rappresentato per l’opinione pubblica americana l’uomo forte a cui demandare la risoluzione dei problemi. Si cerca un rapporto diretto con una persona che possa prendere rapidamente delle decisioni, magari saltando le procedure democratiche. Le elezioni americane hanno anche dimostrato per l’ennesima volta che la razionalità da sola non basta. Trump è parso più emotivo della Clinton e questo gli ha consentito di entrare maggiormente in contatto con gli umori del suo popolo. In particolare attraverso il rafforzamento dell’identità nazionale, del senso di appartenenza alla propria comunità. In momenti difficili, l’idea di stringersi intorno ai valori tradizionali e chiudersi nei propri confini fisici e simbolici è certamente un fattore di rassicurazione e di conforto. La vittoria di Trump è comunque un fatto storico con cui tutti dobbiamo confrontarci.
Cosa può fare la scuola? Credo che innanzitutto dovremmo provare a capire. E’ uno dei nostri compiti fondamentali: analizzare ed interpretare i fatti. E poi aprire discussioni cercando di rispettare le diverse opinioni. Però non possiamo essere neutrali. Perché la scuola pubblica è pluralista, accoglie le identità e le idee di tutti, ma questo non significa che rimane indifferente a quanto le accade intorno. Credo che invece abbiamo il dovere di schierarci e fare fino in fondo le nostre scelte educative. Per questo nella mia scuola, dove stiamo faticosamente costruendo una comunità aperta e multiculturale, la direzione che abbiamo preso è esattamente opposta a quella rappresentata da Trump. Non alzeremo muri, non proporremo modelli di uomini machi, non daremo a qualcuno più diritti di qualcun altro. Ma la sconfitta della Clinton ci lascia anche una lezione importante. Le retoriche perbeniste oggi vengono spazzate via dal vento dell’intolleranza perché non tengono conto dei sentimenti più profondi delle persone. Se non ricominciamo a riconoscerli, rischieremo di essere dominati dalle paure e la rabbia ci porterà a vedere nemici dappertutto. E’ il cuore del processo educativo. Lavorare alla conoscenza e alla consapevolezza di sé. Forse l’unica possibilità di affermare un mondo diverso da quello di Trump. Che invece sceglie la strada più comoda: vedere negli altri la causa delle sue debolezze e non assumersi le proprie responsabilità. Esattamente quello che una scuola seria insegna a non fare.
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