Finiti gli esami di “riparazione”, in alcune scuole già si formano le classi future. In particolare le prime. Preside, vicepresidi e segretari analizzano le domande di iscrizione e cercano di creare classi omogenee tra promossi, bocciati e nuovi iscritti, distribuendo in modo equo i bravi, i meno bravi e le tante situazioni di disagio. Poi ci sono le richieste di amici e compagni con cui si chiede di stare insieme. E si capiscono tante cose. Alcuni non chiedono nessun compagno. E sono soprattutto i più bravi. Poi vi sono quelli misurati, che chiedono un solo amico. E poi via via si sale fino a chi organizza vere e proprie catene. Un ragazzo chiede tre-quattro compagni, uno di quelli scelti ne chiede altri e così via. Ogni scuola ha le sue regole su quanti compagni accettare. Personalmente credo che, se dalle scuole medie non arrivano indicazioni diverse, sia giusto accogliere le richieste dei ragazzi. In genere, stare con persone che si conoscono aiuta ad inserirsi in un nuovo contesto. Tanto poi crescendo le cose cambieranno e rimarranno solo i legami più profondi. Ma il caso più interessante è certamente quello di chi indica i compagni con cui non stare. E qui si apre uno scenario particolare, spesso deciso dai genitori. «Quello non lo voglio perché prende sempre in giro il mio bambino», «Guardi, i ragazzi vanno pure d’accordo, ma noi famiglie non ci sopportiamo, per cui per cortesia li divida», «Non lo voglio in classe con mio figlio perché me lo distrae e non me lo fa studiare» e così via. Fare le classi significa in fondo entrare in dei mondi sociali. E crearne degli altri. Il futuro dirà se gli abbinamenti avranno funzionato. Ma forse servirebbe imparare a stare insieme a chiunque ci capiti a fianco. Sarebbe il migliore esercizio di civiltà per evitare i rischi della fase storica che stiamo vivendo.
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