Consiglio in seduta disciplinare. È il modo burocratico per dire che gli insegnanti di una classe si riuniscono con il preside per valutare un provvedimento nei confronti di uno o più studenti. In questo caso gli studenti sono cinque. Tutti hanno accumulato molti rapporti in poche settimane. Mi colpisce la dichiarazione di uno di loro, al quale viene contestata la sua irrequietezza, il continuo disturbare la lezione e i compagni. «Lo so, è vero. Ma ho bisogno di parlare e muovermi. Non riesco a stare fermo e zitto ad ascoltare la lezione. Ci provo, ma non ce la faccio».

In un incontro con giovani universitari tedeschi, chiedo cosa cambierebbero della loro esperienza scolastica. Uno di loro dice: «Ricordo la fatica e la sofferenza di dover rimanere immobile al banco per molte ore. È innaturale, non dovrebbe succedere».

È un tema noto, ma molto trascurato. Che ci piaccia o no, i bambini e i ragazzi, ma anche gli adulti, non sono più in grado di tenere l’attenzione e stare fermi troppo a lungo. Siamo tutti iperattivi. La scuola dovrebbe prenderne atto e adattarsi. E dovrebbero farlo anche molti oratori che svolgono relazioni lunghe e noiosissime, naturalmente premettendo sempre “sarò breve”.

Un docente non dovrebbe mai parlare più di 20-30 minuti di seguito. Le lezioni dovrebbero favorire il più possibile l’interazione, tra insegnante e studenti e tra gli studenti stessi. Ogni 45-50 minuti bisognerebbe fare una pausa. Ai ragazzi dovrebbe essere data la possibilità di alzarsi in piedi, di muoversi, di uscire dall’aula e rientrare. Sono accorgimenti ormai evidenti a chi ha occhi per vedere come stanno le cose e suggeriti da tante ricerche. Infatti, nelle scuole più avanzate sono adottati. Ma nel nostro Paese molti adulti sono ancora asserragliati nella difesa della “scuola degli studenti zitti e buoni”, andando inesorabilmente incontro a frustrazioni e fallimenti. Giustamente. Sono gli ultimi giapponesi. Quelli che, ad esempio, hanno scuole con giardini dove non portano mai i bambini. Perché “se poi succede qualcosa, come si fa? Io non voglio responsabilità”.
Sarebbe invece l’ora di lavorare finalmente a una scuola diversa, davvero su misura di bambini e ragazzi di oggi.