Oggi è l’ultimo giorno di scuola. E’ finito un altro anno, il primo della Buona Scuola. Non c’è stato il disastro che paventavano i gufi, come li chiama il Presidente del Consiglio con un’espressione infelice. E non c’è stato il Grande Cambiamento che la riforma prometteva. Quello che è realmente successo è altro.
Innanzitutto si è aperto un acceso dibattito su molti temi, come quello sulla valutazione, fatto certamente positivo. Poi si sono registrati i soliti ritardi e la solita confusione. Anzi, se possibile, ce ne sono stati di più. Le assunzioni e l’organico potenziato, realizzati in modo un po’ caotico, hanno comunque consentito di avere insegnanti più stabili e in numero maggiore, con indubbi benefici. Ma molte scuole sono ancora con presidi “reggenti”, senza direttore amministrativo e con organici Ata inadeguati. E tutto questo ha pesanti ripercussioni sulla qualità del servizio. L’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro è un fatto importante, ma l’eccessiva quantità di ore ha messo in difficoltà le scuole. E il principio sacrosanto della formazione obbligatoria per adesso è rimasto lettera morta, anche perché ha previsto un bonus individuale, ma non risorse specifiche per le scuole. Questi solo alcuni aspetti di un anno scolastico impegnativo. Il prossimo è già evidente che ripartirà nell’incertezza, per i ritardi di tutte le procedure in corso, a cominciare dal nuovo concorso per i docenti.
Sarebbe a questo punto il caso di riaprire un confronto sereno sulla scuola e sugli effetti della riforma, senza le tossine dello scontro ideologico dei mesi scorsi. Ma, per farlo, dobbiamo smettere di raccontarcela e ripartire dai dati di realtà. Chi vuole fare solo baruffe politiche lasci un po’ in pace la scuola. Chi invece ha idee e soluzioni per una scuola moderna le metta rapidamente in campo.
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