Le Murate rappresentano uno dei più riusciti interventi di riqualificazione urbana di Firenze. Una parte di quel complesso è stato a lungo un carcere, del quale sono ancora adesso visitabili le celle. La mia scuola ha partecipato con alcune classi a un progetto dell’Associazione Arcadia Ars-In, che prevede la visita di quei luoghi e un laboratorio sulla memoria. Qualche giorno fa ho deciso di aggregarmi agli studenti e agli insegnanti di una classe per fare le attività previste ed è stata un’esperienza davvero straordinaria.
Ci sono stati messi a disposizione oggetti e foto di persone arrestate e ci è stato chiesto di immaginare le loro storie, provando a fare un lavoro di immedesimazione che in realtà parlava molto di noi. Abbiamo scritto, letto, ascoltato. E abbiamo tenuto in mano quelle foto e quegli oggetti. Le parole e le emozioni di adulti e ragazzi si sono mescolate, le une con le altre.
Uno dei momenti più intensi è stato naturalmente la visita delle celle. Più che una visita è stata un’immersione. Attori che simulavano di essere i nostri carcerieri ci hanno accompagnato uno ad uno davanti a una cella, mettendoci in mano una candela. Poi ci hanno chiusi dentro per alcuni minuti che sono sembrati interminabili. In quei minuti, al buio, con la candela abbiamo esplorato i muri dove i detenuti avevano lasciato scritte di vario tipo. Nomi, simboli politici, numeri che indicavano il trascorrere dei giorni. Per un momento, a tutti noi è sembrato di vivere quello che hanno vissuto loro. Alla fine attori, preside, insegnanti e studenti ci siamo riuniti “in plenaria”. Seduti a terra in cerchio abbiamo condiviso le nostre sensazioni. I ragazzi erano commossi ed entusiasti. Per molti, l’esperienza più bella della loro vita.
A me rimangono molte cose. Intanto che una classe considerata “difficile” abbia seguito con grande disciplina e si sia messa in gioco, esprimendo pensieri e sentimenti di rara profondità. Poi la convinzione che questa sia davvero la scuola migliore, quando cioè l’apprendimento in aula e a casa fa sponda con un contesto esperenziale, in cui ci misuriamo con la realtà e ascoltiamo come risuona dentro di noi. Infine il piacere di uscire dal bunker della presidenza per stare con i miei insegnanti e i miei studenti, condividendo con loro esperienze significative, che consentono di emozionarsi insieme e di parlarsi da persone, fuori dai ruoli. Una cosa che farò più spesso per godere del privilegio di lavorare nella scuola. Un privilegio di cui troppo spesso ci dimentichiamo presi dalle mille difficoltà.
10 Marzo 2024 alle 9:47
L’esperienza, questa così intensa e ricca di emozioni, condivisa, è l’unico modo che ci permette davvero di entrare in contatto con noi stessi e con gli altri, di apprendere nel senso pieno della parola. Quando la scuola rinuncia a questa dimensione la perdita è enorme, diventa per molti ragazzi un tempo spazio vuoto di senso in cui l’adolescente (ma sarebbe lo stesso anche per noi adulti) si perde, rinuncia ad ascoltare e ad ascoltarsi