Tra le dinamiche che avvengono nelle scuole, una è forse più significativa di altre. La dialettica tra quelli che vogliono fare da soli e quelli che vogliono fare insieme. Due tipologie umane e professionali, due visioni opposte della scuola e della società. Che discutono e litigano tutti i giorni. Va detto che la cultura di base della scuola italiana è individualista. L’insegnante è abituato a chiudere la porta della sua aula e a non far trapelare nulla. Anche se poi in realtà tutti parlano di quello che succede all’interno. Studenti, genitori, colleghi e perfino i custodi. Quello che si fa in classe non si dovrebbe sapere. Per rispetto della privacy e della libertà di insegnamento, si dice. Ma, in fondo, si vuole difendere l’idea che insegnare sia un mestiere solitario, dove non ci devono essere interferenze. Non parliamo poi della solitudine di presidi e direttori amministrativi. Vivono vite appartate e assumono decisioni chiusi nei loro bunker, dai quali danno del lei a tutti mentre intorno tutti si danno del tu. Non a caso. Anche le scuole sono in genere isole non comunicanti, che non sanno nulla l’una dell’altra.
Il contesto scolastico è quindi costituito da monadi, che convivono fianco a fianco senza conoscersi e collaborare davvero. Infatti i cosiddetti organi collegiali faticano a funzionare. I consigli di classe sono riunioni tormentate, che fanno sforzi enormi solo per mettere in piedi semplici attività trasversali. I collegi dei docenti diventano palcoscenici per personalità difficili, che si esibiscono in psicodrammi degni del teatro più raffinato. E le reti di scuole sono occasioni per raccogliere finanziamenti piuttosto che esperienze di reale confronto. Ci sono anche bellissime storie di segno opposto, ma sono rare. L’anima individualista della scuola rimane dominante.
A questo punto ognuno decida da che parte stare. Se si intende mantenere l’individualismo nelle scuole, continuiamo così. Se invece vogliamo costruire una narrazione collettiva, dobbiamo essere conseguenti. Apriamo le porte delle aule, moltiplichiamo le compresenze, favoriamo le contaminazioni, creiamo occasioni di condivisione, lavoriamo con gli studenti e non per loro. Se ci crediamo, facciamolo davvero. Perché delle ipocrisie di chi predica il valore della comunità educante in salotti politicamente corretti e poi non fa nulla, sinceramente non se ne può più.
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