Qualche giorno fa al Marco Polo si è tenuta una tappa del percorso di avvicinamento al Festival di Letteratura Working Class che si svolgerà dal 5 al 7 aprile presso il presidio dell’ex-GKN, la fabbrica di Campi Bisenzio divenuta ormai simbolo della lotta per i diritti nel mondo del lavoro. Abbiamo intitolato l’incontro “Scuola di classe”, per evidenziare come la scuola purtroppo ancora rappresenti un luogo dove le differenze sociali vengono riprodotte e alimentate, invece che contrastate. Ci siamo confrontati tra presidi, insegnanti, studenti, operatori sociali e rappresentanti del mondo del lavoro. Sono emerse tante considerazioni.
«Non è più accettabile la divisione classista della scuola e della società. I licei continuano a essere frequentati dai figli delle cosiddette “famiglie bene” e i professionali dai figli della “povera gente”». «Si parla spesso di merito, ma ancora oggi si sa già dalla culla chi andrà presto a lavorare e chi proseguirà gli studi, chi farà l’operaio e chi diventerà classe dirigente, chi sarà ricco e chi povero. E questo indipendentemente dalle capacità». «Molti presidi e insegnanti hanno avuto famiglie con buoni livelli di istruzione. Per noi è difficile comprendere le storie di ragazzi che vivono in una casa popolare e che non hanno terminato gli studi. I loro mondi sono troppo diversi dai nostri». «Vorremmo dare ai ragazzi prospettive sociali, culturali ed economiche migliori di quelle dei loro genitori, ma il “sistema” non ci sostiene». «Dovremmo creare scuole accoglienti e moderne, capaci di attrarre ragazzi con vite difficili e ragazzi che cercano un’istruzione di qualità. Tenere insieme in classe storie differenti aiuta tutti a essere consapevoli delle complessità sociali e a diventare cittadini migliori».
Gli studenti hanno poi riportato i discorsi dentro le vicende scolastiche. «Alcuni di noi non hanno i soldi per comprare i libri. Altri non si possono permettere di partecipare ai viaggi di istruzione. La scuola pubblica dovrebbe essere la scuola di tutti, invece discrimina ed esclude. Non è giusto». Ecco, forse dovremmo interrogarci di più su quale scuola vogliamo costruire. E su cosa facciamo per garantire il diritto all’istruzione oggi, che poi sarà il diritto ad avere un lavoro dignitoso domani. Perché nessuno dovrebbe morire in un cantiere e tutti dovrebbero ricevere una retribuzione equa. Indipendentemente da dove li ha portati la cicogna.
31 Marzo 2024 alle 8:34
Bisogna lavorare dentro e fuori rispetto al sistema, se vogliamo un cambiamento reale della scuola, ma i segnali attuali non mi sembrano andare in questa direzione.
1 Aprile 2024 alle 3:00
Figlia di operaio e casalinga/sarta, contro il volere dei miei genitori ho studiato, preso una laurea e un dottorato (anche) grazie agli istituti per il diritto allo studio attivi fino a 20/30 anni fa. Ora non so cosa sia rimasto di quegli istituti. Ho fatto il salto sociale, ma è scomodo stare da una parte e dall’altra, fuori-classe sopra e sotto. Le differenze di classe si trascinano anche nella carriera professionale. La ex classe operaia, senza cognomi eccellenti e senza protettori è penalizzata nell’Italia familista e prona ai potenti. L’equità è un concetto rimasto scritto nell’art. 3 della Costituzione ma mai realizzato nè si vedono le premesse perché un giorno lo sia. Chi doveva farlo, la sinistra, in Italia ha abdicato del tutto il ruolo, si è imborghesita copiando (male) la destra. Il modello sociale liberista ha vinto e nessuno ne ha contrastato le derive più pericolose. Speranza per il futuro, del Paese e del mondo? Sempre l’ultima a morire, ma chissà