Per la scuola i mesi trascorsi sono stati molto difficili. In realtà, appena si è saputo che il Paese andava in lockdown e che lezioni sarebbero state sospese, molti studenti hanno festeggiato. E anche il personale ha apprezzato perché a scuola non si sentiva più sicuro di fronte ai numeri del contagio che salivano vertiginosamente. Ma, una volta chiusi in casa, tutti abbiamo vissuto un sentimento di disorientamento. Non sapevamo bene cosa fare, come muoverci. L’emergenza ci ha colto del tutto impreparati. Poi lentamente abbiamo cominciato a reagire. Ci siamo confrontati e abbiamo cercato di organizzarci. Anche se inizialmente gli inconvenienti sono stati molti. Connessioni che non funzionavano, webcam spente, microfoni a singhiozzo, orari che non tornavano. A un certo punto le cose però si sono aggiustate. Le lezioni hanno preso un passo regolare e tutto ha assunto un suo equilibrio. Non per tutti, a dire la verità. Qualcuno quell’equilibrio non lo ha mai trovato. Alcuni insegnanti sono spariti, altri hanno ripetuto a distanza gli stessi errori che facevano in presenza, caricando i ragazzi di compiti e interrogazioni come se nulla fosse successo. Ma si tratta di eccezioni. La maggioranza dei professori ha lavorato molto di più e ha affrontato la fatica di rimettersi in gioco, misurandosi con strumenti tecnologici nuovi e raccogliendo la sfida di una diversa modalità di insegnamento.
Dopo i festeggiamenti iniziali, i ragazzi hanno comunque cominciato a soffrire la reclusione in casa e sono stati felici di ritrovare i propri compagni e i propri insegnanti, sia pure in video. Qualcuno si è impegnato, altri si sono “imboscati”. Imboscarsi a distanza è piuttosto facile. Ti colleghi, spegni la webcam (magari dicendo che è guasta) e poi ti fai gli affari tuoi. Ma ci sono anche ragazzi che si sono trovati in condizioni di oggettivo disagio. Senza computer, senza connessione o con situazioni familiari difficili. Alla fine tutti abbiamo sofferto il prolungarsi della quarantena. Lo confermano gli psicologi della scuola, che inizialmente avevano riscontrato una buona reazione, in particolare degli studenti, e poi hanno visto crescere in modo esponenziale le richieste di aiuto. Per questo è stato un bene riaprire le scuole per la maturità. Serviva un segnale forte che ci aiutasse a ritrovare la normalità e un po’ di fiducia per il futuro.
La Didattica a Distanza è stata una didattica di emergenza. Va detto con chiarezza. Prima torniamo nelle aule e meglio è. Ma non tutto è stato negativo. Sono emerse indicazioni importanti che ci serviranno a far ripartire a settembre una scuola diversa. Provo a elencarne alcune.
1. Curare le relazioni e la dimensione emotiva. Durante la quarantena i ragazzi lo hanno notato. Molti insegnanti si preoccupavano più spesso di chiedere a loro come stavano. Quando torniamo in presenza dovremmo liberarci dall’ansia di “finire il programma” e prenderci maggiormente cura degli studenti. Per raggiungere questo obiettivo, è fondamentale ridurre il numero di alunni per classe. Non c’è dubbio che con 15-20 studenti si lavori meglio che con 25-30. E’ possibile avviare un percorso che porti ad avere un giorno classi con numeri ragionevoli?
2. Ripensare la valutazione. In questi mesi molte scuole hanno evitato le valutazioni “sommative”, quelle in cui si misura la “prestazione”, privilegiando le valutazioni “formative”, finalizzate esclusivamente a rilevare gli apprendimenti in una logica di miglioramento. Troppe volte il processo di apprendimento si basa sulla minaccia del voto e sulla paura dell’interrogazione. Gli studenti hanno visto e apprezzato a distanza tracce di una scuola diversa, più libera e meno “oppressiva”. Una strada da percorrere più spesso in futuro se si vuole attenuare lo “stress da valutazione”.
3. Ridurre i compiti per casa. Da sempre nel mondo della scuola c’è grande discussione su questo. Si possono avere idee diverse, ma va superata la convinzione che l’insegnante migliore sia quello che assegna più compiti. Bastasse quello, saremmo tutti bravi a fare gli insegnanti. In quarantena il carico di compiti è stato più ragionevole e questo non ha peggiorato i risultati. Anzi, forse è avvenuto il contrario. Una lezione da tenere presente per il futuro.
4. Rinnovare gli spazi e i tempi della scuola, rafforzando le attività esperienziali. La clausura imposta ha fatto emergere ancora più forte l’esigenza che la scuola debba avere ambienti belli e accoglienti, dove studenti ed insegnanti possano riconoscersi e sentirsi a proprio agio. Va sostenuta l’idea di una educazione che non si svolge solo nelle aule, ma è diffusa nel territorio. Questo spinge a spostare il baricentro dei processi di apprendimento dalla dimensione cognitiva a quella esperienziale. A questo si collega il tema dei tempi. La scuola ha orari rigidi e standardizzati. Dovremmo cercare di renderli più flessibili e adattarli ai bisogni di tutti. Questo dovrebbe riguardare gli orari di ingresso, di uscita, le ricreazioni e l’organizzazione generale delle attività didattiche curriculari ed extracurriculari. Poi dovremmo riflettere sul fatto che i tempi di ragazzi e adulti sono molto differenti. Come conciliarli?
5. Porre maggiore attenzione alle fragilità. Durante il lockdown gli studenti con fragilità personali o sociali hanno sofferto di più. La scuola deve fare il possibile per supportare quegli studenti e dare davvero a tutti le stesse opportunità. Alcuni in realtà hanno detto di essersi trovati meglio a distanza perché hanno avuto la possibilità di esprimersi senza essere “coperti” da compagni più esuberanti. E’ un tema importante. In presenza dobbiamo ricordarci di dare voce e spazio a tutti.
6. Far crescere le compresenze e la condivisione tra insegnanti. La Didattica a Distanza ha spinto gli insegnanti ad aiutarsi reciprocamente. Molti si sono confrontati, hanno condiviso programmi e fatto lezione insieme. In presenza è più difficile, ma dobbiamo provarci. La qualità della scuola dipende molto dalla collaborazione tra i professori.
7. Rivedere il rapporto con la tecnologia. Il lockdown ci ha fatto diventare tutti esperti di videoconferenze. Speriamo di non averne più bisogno nella scuola ordinaria, ma si tratta di una competenza che potrebbe tornare utile. Pensiamo al caso di studenti malati bloccati a casa o di incontri online con scuole gemellate in altre parti d’Italia o del mondo. Tutti hanno comunque avvertito l’esigenza di uscire dallo schermo e ritrovarsi di persona. La tecnologia rimane importante per la didattica, ma dobbiamo capire quali siano gli strumenti migliori e la giusta quantità.
8. Trasformare la scuola in un Laboratorio del Tempo Presente. La scuola è stata travolta dall’attualità ed è entrata nella vita delle persone. Per la prima volta abbiamo fatto lezione nelle case. Non potremo più permetterci in futuro una scuola lontana da quello che ci succede intorno. La scuola deve trasformarsi in un Laboratorio del Tempo Presente, aiutare gli studenti a leggere la realtà e diventare davvero cittadini protagonisti consapevoli della società in cui vivono. Durante l’emergenza è sembrato esserci un avvicinamento tra società civile e istituzioni, abbiamo avuto la sensazione che le esigenze dei cittadini fossero maggiormente ascoltate. Dobbiamo entrare in un tempo in cui tutti possano dare il proprio contributo. Anche il mondo dell’educazione. La scuola non può rappresentare solo il luogo di trasmissione delle conoscenze. Dovrebbe anche essere un cantiere di idee e proposte, la sperimentazione di un nuovo modello di comunità, il sogno di un orizzonte culturale diverso.
9. Affrontare il rapporto tra libertà e regole. E’ un tema da approfondire con studenti e insegnanti alla luce di quello che è successo. Ogni scuola deve trovare un suo equilibrio tra questi due valori e metterlo in atto all’interno della propria comunità. Imparare ad essere liberi, ma anche ad accettare limitazioni in nome del vivere civile è fondamentale in un processo educativo.
10. Riflettere sul ruolo della scienza e attuare una “svolta green”. In questi mesi si è parlato molto del ruolo della scienza. La scuola non può chiamarsi fuori da questa discussione. Servono approfondimenti che ne mettano in evidenza i limiti, evitando atteggiamenti antiscientifici. Inoltre quello che è successo sollecita il rafforzamento di una cultura ambientalista, a cui i giovani sono molto sensibili. Dovremo occuparci maggiormente di questi temi e sviluppare pratiche che vadano in quella direzione. Raccolta differenziata, utilizzo di pannelli solari, promozione dell’uso della bicicletta, esperienze naturalistiche, solo per fare qualche esempio.
La scuola che riparte a settembre non potrà essere uguale a quella di prima. Spesso ci perdiamo in discussioni sulle mascherine o sul gel igienizzante. Ma la questione vera è un’altra e riguarda i modelli educativi, sociali e culturali che intendiamo proporre. Apriamo su questo un confronto nelle scuole, con le istituzioni e con la società civile. Perché non possiamo fare finta che nulla sia successo, ma dobbiamo anche evitare di cambiare tutto per lasciare tutto com’è.
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