Si sono appena conclusi gli scrutini finali, nei quali si decidono le sorti scolastiche di uno studente, quindi se sarà promosso, rimandato o bocciato. Personalmente li ho svolti in presenza. Perché le cose importanti, a mio giudizio, devono tornare a essere fatte in presenza e perché il nostro vivere civile ha bisogno di ritrovare la sua normalità, il piacere di essere di nuovo tutti fisicamente insieme.
Dalla maratona degli scrutini si esce frastornati. Idee di scuola diverse si confrontano per individuare la scelta migliore per il bene di uno studente. Gli scrutini sono uno spaccato di quello che siamo, umanamente e professionalmente. Ci sono quelli che non intervengono mai e quelli che intervengono continuamente. Quelli che sono sempre gentili e quelli che sono sempre nervosi. Quelli che ascoltano gli altri e quelli che ascoltano solo sé stessi. Quelli che cercano una mediazione e quelli che vogliono imporre il proprio punto di vista.
Non molti sanno, soprattutto fuori dal mondo della scuola, che i voti assegnati agli scrutini sono tutti voti di consiglio. Cioè il docente arriva con una proposta di voto nelle sue discipline, ma il consiglio di classe può poi confermare o modificare quei voti. E naturalmente è il consiglio, non il singolo docente, che decide l’esito finale, all’unanimità o a maggioranza. Questo avviene per sottolineare la responsabilità collettiva delle scelte. Un approccio che condivido molto, ma che non tutti applicano. Alcuni insegnanti continuano a difendere una logica individuale. «Con me ha 4 e se lo tiene», «Colleghi, nella mia disciplina non ha mai fatto nulla, quindi non può essere promosso». Ma l’idea di fondo che sta alla base del principio collegiale degli scrutini è che dovremmo guardare uno studente nel suo complesso, tenendo conto di variabili scolastiche, umane, familiari e sociali. Perché i ragazzi non sono numeri.
Dopo gli scrutini di 60 classi con circa 14 discipline per quasi 1500 studenti, ho fatto i conti che ho visto oltre un milione di numeri. E mi sono domandato, sulla scia di una discussione in corso in molte scuole, se quei numeri fossero rappresentativi degli studenti. Allora mi è venuto in mente il commento che uno studente ha dato su un insegnante: «Per lei sei quel voto e quel voto rimarrai sempre». Personalmente non sono contrario a un uso intelligente dei numeri a scuola. Ma, per piacere, smettiamola di pensare che i numeri bastino a raccontare le persone.
18 Giugno 2023 alle 9:28
Buongiorno, ho letto con molto interesse le sue osservazioni con cui sono d’accordo in modo totale. Penso che però lo spirito autentico della collegialità del giudizio e delle decisioni in sede di scrutinio finale vadano costruite giorno per giorno, durante tutto l’anno scolastico, debbano insomma nascere dalla consapevolezza che come docenti si dovrebbe lavorare e ragionare come squadra, condividere il comune intento di scegliere il meglio per ogni ragazzo, condividere le strategie per aiutare ogni studente, studentessa a raggiungere il meglio di sé. Insomma essere capaci (gli insegnanti dovrebbero esserlo, in quanto adulti equilibrati e consapevoli) di confrontarsi ciascuno con le differenti opinioni degli altri, discutere, non per affermare la propria posizione, ma per scegliere ciò che sia più opportuno ed efficace. Alunno/a per alunno/a.
Grazie per questo suo blog