Gli ultimi giorni di scuola. Un rito che si consuma ogni anno sempre uguale. Eppure sembra coglierci ogni volta di sorpresa. Il preside e i suoi collaboratori si occupano affannosamente delle beghe finali. Le segreterie sono sotto pressione. Gli insegnanti inseguono dappertutto gli studenti per le ultime interrogazioni. E loro, naturalmente, non si fanno trovare. E’ un fiorire di visite mediche e autobus persi, che servono a giustificare richieste di ingressi in ritardo e uscite anticipate. In realtà spesso cercano semplicemente di sfuggire a compiti e interrogazioni. Poi ci sono gli studenti che non si sono mai visti in tutto l’anno e riappaiono improvvisamente come la Madonna di Fatima. Insistono per farsi interrogare, nella speranza che un sei preso all’ultimo momento possa convincere un professore caritatevole a dimenticare le insufficienze di tutto l’anno. Ma altri invece si dannano l’anima davvero per cercare di porre rimedio ai brutti voti. Poi c’è la burocrazia, che in questo periodo si manifesta in tutta la sua insensatezza e della quale non riusciamo a liberarci. In questi giorni abbiamo anche da pensare anche al futuro, alle cose da preparare per il prossimo anno. Perché, con le procedure che abbiamo nel nostro fantastico Paese, se non cominciamo per tempo, a settembre non è pronto nulla. Ma questo è forse soprattutto il momento dei bilanci. Incrociamo nei corridoi i ragazzi di quinta che stanno per uscire dalla scuola. In ansia per l’esame, spesso tristi perché abbandonano quello che comunque è stato il loro nido, un punto di riferimento della loro vita. Con gli insegnanti capita di fermarci a guardare questi adolescenti cresciuti con noi e commentare insieme il percorso che hanno fatto. Alcuni di loro, va detto, sono stati letteralmente salvati perché presentavano gravi problematiche personali e sociali. La scuola può e sa essere decisiva in questi casi. Sono storie che andrebbero raccontate più spesso. Se la scuola fa bene il suo lavoro, spesso insieme alla famiglia e qualche volta in sua assenza, ottiene risultati straordinari, umani prima ancora che scolastici. Ma qualche volta non ce l’abbiamo fatta. Va detto anche questo. Ci sono i ragazzi che ci siamo persi e quelli che, nonostante tutto, non siamo riusciti a coinvolgere ad appassionare. E poi anche quelli poco preparati o che non abbiamo spostato da atteggiamenti diversamente sbagliati: aggressivi, intolleranti, presuntuosi, rinunciatari. La sfida dell’educazione è una battaglia continua. E alla fine dell’anno scolastico è doveroso interrogarci sul senso del nostro lavoro, sull’esito della nostra fatica quotidiana. I nostri studenti sono il termometro dei nostri successi e dei nostri fallimenti. Dovremmo guardarli più spesso. Non tanto per incensarci o flagellarci, quanto per capire dove e come migliorare.
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