Bussano alla porta. Entra in presidenza un ragazzino minuto, avrà quattordici anni. “Posso parlarle?” “Certamente, siediti.” “Vorrei raccontarle un fatto che è successo.” “Ma è come se non glielo raccontassi”, aggiunge subito. “In giardino, durante la ricreazione, ho visto un ragazzo che picchiava una ragazza. Eravamo in pochi, nessuno è intervenuto.” In conclusione, ripete. “Io glielo racconto, ma è come se non glielo raccontassi.” Provo a rassicurarlo. “Non ti preoccupare. Grazie per avermelo detto, hai fatto un bel gesto.” Quando esce, chiedo ai custodi se hanno visto qualcosa. Nessuno ha visto, ma alla fine individuano il responsabile. Avrà anche lui quattordici anni. Entra, per nulla intimorito. “Sembra che tu abbia fatto delle cose brutte”, provo a dire. Lui minimizza: “Ho semplicemente avuto una discussione con la mia ragazza, cose che succedono.” “Veramente mi dicono che hai alzato le mani.” Prima divaga, poi si gioca una carta che mi sorprende: la complicità maschile. “Sì, è successo. Ma preside, anche lei è un uomo, lo sa come sono fatte le donne, ti fanno perdere la pazienza.” Reagisco con fermezza. E segno un confine. “Ti va bene che non ho prove certe. Se ricapita, chiamo immediatamente le forze dell’ordine.” Quando esce è comunque ancora convinto di non aver fatto nulla di grave. Poco dopo bussano di nuovo alla porta. E’ la ragazza. Piangendo, mi dice: “Preside, guardi che lui in fondo è un bravo ragazzo.” Si preoccupa per i provvedimenti che può prendere la scuola. Il giorno dopo i due adolescenti sono davanti al cancello della scuola. Abbracciati. Forse noi adulti dovremmo fare qualche riflessione sui modelli di uomo e di donna che stiamo proponendo ai nostri ragazzi. Piuttosto in fretta, se possibile.
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