Vengono in presidenza alcuni studenti. «Dopo quello che è successo, vorremmo fare delle proposte su violenza delle donne e femminicidi». «Ditemi». «Dopo il minuto di silenzio previsto dal ministro, chiederemmo che, attraverso gli altoparlanti sul giardino, si possa trasmettere la canzone “Vietato morire” di Ermal Meta. Poi ci piacerebbe avere un’assemblea in tutte le classi per scrivere delle nostre riflessioni, agganciarle a dei palloncini e lanciarle in cielo. Infine, vorremmo che, in una delle giornate lunghe previste per la sperimentazione didattica, tutti gli insegnanti parlassero del tema collegandolo alla propria disciplina: storia, letteratura, arte, ecc.». «Grazie ragazzi, mi sembrano tutte idee interessanti. Sul minuto di silenzio personalmente ho molte perplessità, mi sembrano iniziative buone solo a lavarsi la coscienza. Servono piuttosto comportamenti quotidiani di rispetto per le donne. Comunque, lo facciamo. La trasmissione della canzone in giardino è un’idea più originale. Molto bella la proposta di declinare didatticamente la violenza sulle donne in tutte le materie. E mi piace anche che possiate esprimervi con riflessioni vostre, ma eviterei di lanciare in cielo i palloncini. Dal punto di vista ambientale non è una bella cosa. Potremmo posizionare delle scatole in giro per la scuola dove lasciate le vostre considerazioni e ne leggiamo alcune pubblicamente. Poi magari organizziamo un’iniziativa con familiari di vittime di femminicidi ed esperti che ci aiutano a riflettere sull’educazione all’affettività». I ragazzi accettano. Il giorno dopo è previsto il minuto di silenzio. In anticipo passano in presidenza degli studenti di una classe prima. «Sono venute delle ragazze del collettivo a dirci di trasformarlo in un minuto di rumore. Ma possiamo farlo?». «Certo, ragazzi. Potete fare quello che volete, magari però riflettete sul significato di questa proposta». Poco dopo si sentono rumori che arrivano da tutta la scuola: dalle aule, dalle finestre, dal giardino.
In un mondo apatico, tutte le volte che i ragazzi assumono iniziative ci sarebbe da festeggiare. Ma troppe volte sentono ancora il bisogno di essere autorizzati dagli adulti. In alcuni casi è un segno di maturità, in altri di poca autonomia e di difficoltà nella gestione del conflitto. Un tema su cui riflettere, che, anche se potrebbe non sembrare, ha molto a che fare con la violenza sulle donne.
26 Novembre 2023 alle 12:12
“poca autonomia e di difficoltà nella gestione del conflitto. Un tema su cui riflettere, che, anche se potrebbe non sembrare, ha molto a che fare con la violenza sulle donne.”
parto dalle sue parole, perché in questi giorni sto riflettendo molto sulla intenzione ministeriale riguardo alla gestione dell’affettività, sulla sua praticabilità, sulla sua efficacia.
Dobbiamo come insegnanti chiederci:
– quanto nel quotidiano effettivamente permettiamo ai nostri studenti di sperimentare autonomia, come lo facciamo? Quanto effettivamente li ascoltiamo, ascoltiamo i loro bisogni nel definire le regole della vita scolastica (a cominciare dalla scuola primaria, anzi forse da quella dell’infanzia)? Quanto nel riprenderli quando trasgrediscono permettiamo a loro di decidere come cambiare comportamenti e atteggiamenti che li danneggiano?
– quanto lavoriamo sulla responsabilità invece che sulle colpe? (autonomia, possibilità di scelta e responsabilità sono inscindibili)
– quanto permettiamo loro di influire sul contesto scuola a partire dall’organizzazione del lavoro scolastico, quanto e quando gli riconosciamo un ruolo attivo?
– quanto li educhiamo alla gestione costruttiva delle situazioni di conflitto? E quando noi adulti entriamo in conflitto con loro, quanto sappiamo mantenere padronanza e preservare il rispetto? Si può essere severi senza umiliare. Siamo sicuri di farlo sempre?
Educare all’affettività vuol dire coltivarla prima di tutto nei propri comportamenti, soprattutto nelle situazioni difficili.
Non parlo ovviamente della sua scuola, del suo grande e prezioso lavoro di trasformazione, che seguo da tempo. Parlo di troppe situazioni scolastiche con cui entro in contatto nel mio lavoro di formazione.