La valutazione è un tema difficile. Per tutti. Oscilliamo tra l’illusione dell’oggettività e il rischio dell’arbitrarietà. La scuola, bisogna riconoscerlo, non ha mai riflettuto abbastanza sulla valutazione. Degli studenti, degli insegnanti, del preside, della scuola stessa. Di volta in volta dovremmo decidere le cose fondamentali: chi valuta, cosa si valuta, come si valuta. Nel frattempo quotidianamente si consumano aspri conflitti sulla questione della valutazione. In questi giorni, agli esami di maturità, c’è l’ennesima conferma.
«Questa ragazza non sa nulla, è gravemente insufficiente». «Veramente con me è stata una delle più brave». «Ma non si possono mandare avanti ragazzi che non conoscono l’italiano. E’ per questo che il Paese va allo sfacelo!». «Veramente bisogna finirla con questa dittatura dell’italiano. Siamo in un istituto tecnico, dovrebbero contare di più le materie professionalizzanti, quelle che caratterizzano l’indirizzo». «Ma il punto è anche un altro. Questa ragazza non studia». «Ha studiato poco, è vero, ma è intelligente e capace. Allo stage ha avuto valutazioni eccellenti». Poi partono altri tormentoni. Gli insegnanti interni raccontano le storie dei ragazzi. Quasi sempre commoventi. Ma gli esterni alcune volte non si commuovono. «Siamo qui per offrire un punto di vista obiettivo. Le vicende personali non ci interessano». E via così.
Come ne usciamo? Non lo so, forse non c’è modo di uscirne. E magari non uscirne è la cosa più giusta, nel senso che è bene evitare imposizioni e lasciare alla dialettica tra i docenti la scelta su come valutare. Quello che è importante è far crescere la cultura della valutazione. Perché manca alla scuola e perché non possiamo farne a meno se vogliamo costruire un sistema educativo che funziona.
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