Arriva una studentessa di prima, 14 anni. «Preside, posso parlarle?». «Certo, accomodati. Dimmi pure». Inizialmente timida, via via si esprime con più convinzione e determinazione. «Abbiamo un problema con un prof». «Abbiamo chi?» . «Tutta la classe». «Che tipo di problema?». «Non ci troviamo bene. Insegna una materia importante per noi, ma non riusciamo ad impararla. Quando la spiegava la mia prof delle medie la capivo, ma lui non lo capisco. E poi in classe durante le sue lezioni c’è troppa confusione». «E come mai?». «La colpa, lo ammetto, è anche nostra. Siamo un po’ agitati. Alcuni miei compagni a volte urlano. Poi urla anche lui, si altera e va nel pallone. Comincia a fare “ehm.. ehm…”. Mi dispiace per il prof. Lo capisco, sa? Anche io quando vado in ansia inizio a fare “ehm… ehm..”. Però lui è un insegnante. Dovrebbe sapere come gestire le emozioni e come farsi rispettare da una classe». «Ma tu sei una rappresentante? Stai parlando a nome di tutti o a nome tuo?». «No, non sono rappresentante di classe. Quello che penso io però lo pensano tanti miei compagni. Forse verranno altri. Ma intanto volevo venire a parlare per me. Credo sia importante che ognuno esprima quello che ha da dire. Anche perché poi a me la confusione disturba. Ho bisogno di tranquillità e non riesco a concentrarmi per seguire le lezioni». «Ok. Non ho però ben capito se alla fine, secondo te, il problema riguarda il modo di spiegare del professore o la sua difficoltà nel tenere la classe». «Un po’ tutte e due le cose. Le sue lezioni non funzionano bene e con noi è a disagio. Non so cosa si può fare». Ci penso un po’. Poi provo a rispondere. «Intanto voglio farti i complimenti. Non è facile venire dal preside a dire queste cose. Mi fa davvero molto piacere che ci siano studenti come te, che hanno il coraggio di esprimere la propria opinione e che lo fanno con la tua educazione. Credo che innanzitutto dovreste parlare tra di voi e con il professore per cercare di chiarirvi e trovare una soluzione tutti insieme. Se poi a fine anno, nonostante gli sforzi, continuaste a non trovarvi bene, posso anche valutare un cambio. Però siamo ancora a novembre, prima cerchiamo di percorrere tutte le altre strade possibili. Parlerò anch’io con l’insegnante. Tu comunque tienimi aggiornato su come vanno le cose». La ragazza esce, ma restano nell’aria i suoi toni sereni, garbati. Ha espresso il suo punto di vista senza rabbia, con grazia e naturalezza disarmanti. Suona retorico, ma abbiamo tutti davvero da imparare da questi ragazzi. E forse potremmo provare a lasciarci contagiare. Il loro modo di pensare e di parlare è certamente meno articolato del nostro. Ma ci restituisce una freschezza, una pulizia, un ritorno all’essenziale, che noi adulti abbiamo un po’ smarrito e di cui oggi abbiamo un enorme bisogno.
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