La scuola superiore sta vivendo “giorni ponte” tra la fine delle lezioni e i cosiddetti esami di maturità. Sono giorni di bilanci, di progettazione del futuro e di mille scartoffie. Naturalmente si sono svolti gli scrutini, con i soliti rituali per decidere le sorti degli studenti. Un “teatro” nel quale emergono le tante personalità degli insegnanti e i diversi approcci alla scuola. Chi non vorrebbe bocciare nessuno e chi quasi tutti, chi urla e chi dialoga, chi prevarica e chi rispetta, chi guarda solo alla propria disciplina e chi cerca di valutare il quadro d’insieme. Sono comunque giorni in cui la scuola cerca di trovare una dimensione collettiva, un punto di equilibrio tra le sue diverse anime. Qualche volta ci riesce, altre volte no.

Il Marco Polo e altre scuole a fine anno somministrano poi alla propria comunità questionari di valutazione. Sono strumenti che consentono di raccogliere informazioni utili su quello che funziona e quello che non funziona sul piano organizzativo e didattico. Vengono considerati la scuola, il lavoro del preside, della direttrice amministrativa, delle segreterie, dei tecnici, dei custodi, degli insegnanti. Il tutto naturalmente non in una logica punitiva, ma nel tentativo di migliorarsi.

Da qualche anno abbiamo anche adottato questionari nei quali gli studenti si esprimono sui propri insegnanti, naturalmente in modo anonimo. Gli insegnanti sono liberi di decidere se sottoporsi alla valutazione, ma circa il 90% accetta di farlo. Al di là di singole opinioni dettate da risentimenti personali, quello che emerge è interessante e molti insegnanti utilizzano i feedback dei ragazzi per riflettere sul proprio modo di lavorare e mettersi in discussione. Un processo virtuoso che potrebbe davvero cambiare la scuola. Un solo esempio.

Qualche giorno fa è venuta un’insegnante per un confronto sui risultati. Gli studenti di una quinta si sono lamentati per il suo voler portare avanti il programma nonostante la sua materia “non fosse uscita all’esame” e anche per essere umanamente troppo distaccata. «Sono una persona rigorosa e credo che sia giusto fare seriamente il mio lavoro. Però forse i ragazzi hanno ragione su un punto. Mi sono troppo concentrata sulla prestazione e non ho curato abbastanza le relazioni con loro. In futuro farò più attenzione».

Ecco, se i nostri rituali di fine anno servissero a fare qualcuna di queste riflessioni, forse abbiamo speranze di diventare una scuola migliore.