Metti una sera a cena presidi, insegnanti di scuola e docenti universitari. La discussione finisce inevitabilmente sulle nuove generazioni. “Non c’è dubbio. Gli studenti di oggi sono meno preparati rispetto al passato. Quelli che raggiungono buoni risultati sono veramente pochi.” “E i livelli di attenzione, ne vogliamo parlare? Una volta potevo fare lezione continuativamente per almeno un’ora e mezza. Adesso se riesci a tenerli svegli per 30-40 minuti è già tanto.” “Ma è anche una questione culturale. Noi ad esempio leggevamo tanti libri. Loro vanno su internet e non ci pensano nemmeno che esistono le biblioteche.” “Poi manca la motivazione. Noi sapevamo quello che volevamo, loro si iscrivono ad una scuola o ad un corso di laurea senza nemmeno sapere perché. “E il senso critico? Non esiste più. Pensano che basti imparare a memoria alcune nozioni per prendere un buon voto. Quando provi a farli ragionare è un disastro. La scuola non li abitua più a pensare con la propria testa.” C’è del vero nelle cose dette. Oltretutto molti adolescenti non hanno chiaro che occorre fare sacrifici per ottenere dei risultati. E così, quando incontrano una difficoltà, vanno in crisi perché non sono capaci di affrontarla. Forse potremmo non concedere subito tutto quello che chiedono e gratificarli solo quando si impegnano. Ma sulla preparazione i ragazzi di oggi non possono essere giudicati con le lenti del passato. Misurare le loro conoscenze da quanti libri leggono è ingiusto e fuorviante perché vivono in un tempo che ha altre modalità di acquisizione delle informazioni. Dovremmo tenerne conto e cercare strade nuove. Insegnare vuol dire far apprendere. Se i miei studenti o i miei figli non apprendono, non sono sbagliati loro. Sono io che sto sbagliando qualcosa.
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