Leggendo le dichiarazioni di un candidato presidente alla Regione Lombardia sulla difesa della razza bianca e di un presidente di Quartiere di Firenze sulla riabilitazione del fascismo, viene molto da riflettere. Intanto partiamo da un presupposto. Politici esperti non parlano senza pensare a quello che dicono. Specialmente se toccano temi come la razza o il fascismo. Quindi, proprio per rispetto a loro, dovremmo dare per scontato che si tratti di persone che esprimono il loro punto di vista con consapevolezza. Le scuse o le giustificazioni successive, tanto più se si appellano ai lapsus, lasciano il tempo che trovano e non restituiscono certamente dignità a quelle parole, che stanno dentro ragionamenti precisi e inequivocabili. Quindi meglio dirsi la verità: quei politici pensano davvero quello che hanno detto. E allora viene da domandarsi se quelle cose sia lecito pensarle e dirle. Sul pensiero non mi pare ci possano essere dubbi. Ognuno è libero di pensare quello che vuole. Sulla possibilità di dirle avrei qualche dubbio in più. Il nostro Paese si basa su una Costituzione che condanna in modo chiaro il fascismo e afferma il principio di uguaglianza. Quindi, quantomeno, chi pronuncia quelle frasi decide di andare contro i nostri valori fondanti. Se poi a difendere i valori della razza e del fascismo sono rappresentanti eletti democraticamente, si apre un altro problema. Dobbiamo prendere atto che nella società ci sono persone che condividono quelle idee e che votano per chi le porta avanti. D’altra parte i successi di partiti xenofobi e apertamente razzisti stanno ormai susseguendosi in molti Stati. Piuttosto che scandalizzarci, sarebbe forse l’ora di schierarsi. Di dire come la pensiamo e di agire in modo conseguente. Da cittadini e da persone che occupano ruoli di responsabilità. Tacere diventa colpevole. Di più, complice. Per quello che riguarda la scuola, personalmente non ho dubbi. Continueremo a raccontare la storia parlando del fascismo come di un regime, di una dittatura violenta, che pure avrà realizzato delle opere, ma che si è distinto per le leggi razziali e per la repressione delle libertà. Un regime che, non a caso, si è alleato con il nazismo, il più sanguinario dei totalitarismi. La questione non è quindi legata alle differenze, del tutto legittime, tra politiche dell’immigrazione aperte o restrittive. La questione è se crediamo che in un Paese civile tutti debbano avere pari dignità e pari diritti, indipendentemente dalle proprie origini o dal colore della pelle. Cioè se vogliamo una società e una scuola di una razza sola, quella umana. L’unica, fra l’altro, che conoscerebbero i nostri bambini, se non incontrassero l’intolleranza degli adulti.
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