Personalmente non ho mai amato i disobbedienti di professione. Chi viola le regole per partito preso spesso nasconde un conformismo profondo, che si nutre di rigidità e intolleranza. E non di rado soffre di uno sgradevole complesso di superiorità nei confronti delle persone che invece rispettano le regole. Eppure, una democrazia si poggia innanzitutto su chi obbedisce, sa stare al proprio posto, rispetta i ruoli, trova la giusta misura nelle parole e nelle azioni. In quella “buona educazione” si nasconde il principale segreto del nostro vivere civile, del nostro stare insieme come comunità. Ma, se questo è vero e se i disobbedienti di professione sono persone con le quali è difficile vivere, è anche vero che la storia è piena di atti di disobbedienza all’origine di fondamentali innovazioni scientifiche, sociali, politiche e culturali. A partire da quelli compiuti da coloro che si sono ribellati alle dittature (spesso rimettendoci la vita) per conquistare una società più giusta e diritti uguali per tutti.
In questi giorni i fatti di cronaca italiana ci hanno riportato storie di disobbedienza. Tra queste, quella del capitano di una nave che non rispetta gli ordini ricevuti per salvare i migranti a bordo. O quella dei 51 straordinari ragazzini prigionieri su un bus vicino Milano, ai quali il dirottatore aveva sequestrato i cellulari. Tutti, tranne uno. Perché un ragazzo ha disobbedito e lo ha nascosto. Con quel cellulare ha poi avvisato le forze dell’ordine, mentre i compagni facevano confusione per coprire la telefonata. La disobbedienza di quel ragazzo e la complicità dei suoi compagni hanno consentito loro di sopravvivere.
Nella scuola parliamo continuamente di chi disobbedisce. In genere per decidere i provvedimenti disciplinari da adottare. Il che è normale perché disobbedire significa mancare di rispetto agli altri e alle regole che tutti ci siamo dati. Ma, se cambiassimo prospettiva, scopriremmo che gli atti di disobbedienza possono essere risorse preziose, segnali importanti per capire le cose. Alcune volte ci avvertono che le regole sono sbagliate. Altre volte rivelano che quello che stiamo facendo non funziona. In una scuola vecchia, ad esempio, che ripropone contenuti e approcci superati, lo studente che si ribella è spesso più sano di quello che si adegua. E’ difficile da ammettere, ma è così. Per questo dovremmo cercare di ascoltare le ragioni profonde degli atti di disobbedienza. Di più. Dovremmo rinunciare a crescere ragazzi obbedienti. Educhiamoli invece ad essere liberi, a rimanere in contatto con le proprie emozioni e a ragionare con la propria testa. Decideranno poi da soli di volta in volta se obbedire o disobbedire alle regole. Purché gli insegniamo anche ad assumersi la responsabilità delle loro azioni.
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