Oggi vorrei parlare di un incontro. Lo scorso fine settimana sono stato a Genova con circa sessanta insegnanti (e Ata) della mia scuola per trascorrere un fine settimana insieme. Abbiamo fatto molte cose piacevoli e stimolanti. Sabato sera avevamo prenotato il Teatro della Tosse. Lì abbiamo incontrato Fausto Paravidino, attore e drammaturgo, al quale avevamo chiesto di parlarci di qualcosa che avesse a che fare con la scuola, a partire dalla sua esperienza personale e artistica. Naturalmente decidendo lui liberamente cosa dire e come dirlo. Siamo quindi arrivati a teatro senza sapere cosa aspettarci.
Sulla scena un tavolo con una bottiglia d’acqua e un bicchiere di vino. Fausto è salito sul palco e ha iniziato a parlare. Con il suo stile inconfondibile. Ha raccontato del suo disagio a scuola. Perché andava bene, ma avrebbe voluto stare con quelli dell’ultimo banco. Forse essere come loro. Ma invece andava bene. Perché veniva da un ceto sociale in cui aveva imparato a parlare bene. Poi ci ha raccontato della sua passione per il teatro. E di come avesse brillantemente superato le prove per entrare in un corso. Ma, quando ha cominciato a frequentarlo, ha scoperto che “a recitare era pessimo”. Eppure era intelligente. Eppure aveva studiato moltissimo. Però non funzionava. Ci ha messo un po’ a capire quale era il problema. Il problema, o forse uno dei problemi, era stata la scuola. Perché lo aveva educato a essere quello che gli altri si aspettavano che fosse. A fare quello che gli altri volevano che facesse. Dare sempre la risposta giusta però allontana da sé stessi. Allontana dalla vita e dalla verità. Per essere vivi e veri serve il fallimento. Una cosa che la scuola e la famiglia non solo non insegnano, ma nemmeno permettono.
Dall’incontro con Fausto Paravidino siamo usciti scossi. Ognuno ha scelto le parole e le sensazioni da portarsi a casa. Tutti ci siamo interrogati sul nostro modo di fare scuola. A me ha richiamato il Don Milani della “Lettera ai giudici”. «Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto».
Siamo l’armadio delle persone che abbiamo incontrato, ha detto più o meno a un certo punto Fausto Paravidino. Ecco, sono felice che nel mio armadio sia entrato anche lui.
28 Maggio 2023 alle 8:01
Bella esperienza, complimenti. Debbo dire che nella vita succede proprio cosi, non solo in questa storia. Lo sostengo da anni, ma il mondo a cui appartengo, considerato meno nobile rispetto a quello da voi raccontato, spesso non viene considerato. Aprite le porte (oltre gli armadi) più spesso al mondo che vi circonda, capirete tante cose e principalmente ci aiuterete a capirlo, noi siamo gli alunni. Bravi tutti… continuate così. Firmato un imprenditore del sud, analfabeta di ritorno.