In qualche caso li riconosci subito, nei primi giorni di scuola. Altre volte li scopri dopo un po’ perché sono abituati a tenere tutto dentro. Sono i ragazzi che hanno storie difficili. Ragazzi che vengono da altri Paesi, ragazzi che vivono in famiglie disagiate, ragazzi con patologie fisiche o psicologiche, ragazzi che hanno subito traumi affettivi. La scuola con loro ha una responsabilità enorme. Perché gli altri, quelli fortunati, in qualche modo riusciranno lo stesso. Ma loro no. Loro hanno bisogno di adulti che insegnino a costruire un futuro diverso dal passato e dal presente. Per farlo, dobbiamo innanzitutto vederli. E non sempre capita. Poi dovremmo prendercene cura. Senza pietismi, senza moralismi. Serve una scuola gentile e accogliente. Capace di dare strumenti culturali e di parlare a tutti con intelligenza e passione. Un giorno, mentre mi trovavo nel quartiere più degradato della mia città di origine, riflettevo insieme ad un amico: «I ragazzi nati qui, con quello che passano, se ce la faranno, diventeranno persone straordinarie». Sono i ragazzi che vivono due volte. Ma solo se la scuola fa il suo mestiere e li aiuta a rinascere.
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