Oggi è il Primo Maggio. Molte le celebrazioni nella società civile. Poche nella scuola. Dove si parla raramente di lavoro. Specialmente nei licei, dove, salvo qualche eccezione, non ci sono materie come diritto o economia che lo trattano nei programmi. Una mancanza che personalmente trovo scandalosa. Non solo. La verità, un po’ difficile da riconoscere, è che per molti anni nei licei il lavoro è stato di fatto bandito perché considerato poco adatto a chi si occupa di cultura “alta”, a chi prepara per l’Università. Come se fosse un tema “minore”, che riguarda il popolo, le “classi inferiori”, quelle che mandano i figli ai tecnici o ai professionali.
Adesso nelle scuole di lavoro si parla un po’ di più. Nei percorsi di educazione civica, ad esempio. E naturalmente all’interno di quella che prima era l’Alternanza Scuola/Lavoro e ora si chiama Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento. Perché nella scuola ci piace dire le cose in un modo che nessuno capisce, così ci sentiamo più intelligenti. Il rapporto tra scuola e lavoro è terreno di scontro ideologico politico e culturale. L’ultimo esempio si è avuto qualche mese fa, quando uno studente è morto durante uno stage, riaccendendo polemiche feroci fra parti contrapposte. Ma solo se la smettiamo di avvelenare i pozzi del dibattito, possiamo sperare di ripristinare un confronto civile tra idee diverse.
Una scuola che si vuole misurare con la realtà è un luogo in cui si parla di tutto perché tutto educa. Per questo non si capisce perché non si dovrebbe parlare anche di lavoro e conoscere il mondo del lavoro. Ma, se non vogliamo riprodurre la società classista, bisognerebbe andare oltre il proprio indirizzo di studi. Portiamo i ragazzi di un liceo classico a incontrare gli operai di una fabbrica e gli studenti di un professionale in un centro di ricerca. Parliamo di diritti e di doveri, di stipendi e di sicurezza. E ricordiamoci che la scuola non addestra. Prepara certamente i ragazzi a diventare lavoratori, ma prima si deve preoccupare di aiutarli a essere cittadini consapevoli, capaci di ragionare con la propria testa. Da qui forse potremmo ripartire tutti. Se la scuola rispettasse di più il mondo del lavoro e le imprese riconoscessero che una persona non coincide con il lavoratore, forse potremmo creare le basi di un’idea diversa di scuola, di lavoro e di società.
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