Arriva una professoressa molto agitata. «Preside, è la quarta ora. In classe non c’è Marco. Era entrato già tardi, alla terza. Poi è uscito dall’aula e non si è più visto». «Aspettiamo ancora alcuni minuti e diciamo ai custodi di cercarlo. Se non si trova, chiamiamo la famiglia». Dopo un po’ si scopre che aveva pensato bene di tornarsene a casa. Senza dire nulla, senza avvisare nessuno. E senza rendersi conto della gravità di quello che ha fatto.
Alle 12.30 viene la vicepreside con una studentessa. «Preside, questa ragazza è arrivata adesso e chiede di fare solo l’ultima ora». «Non consentiamo di entrare in qualunque momento. Venire a scuola per fare solo un’ora non mi pare sensato. Cosa è successo?». «Ho fatto l’esame di teoria per la patente, sono venuta appena ho finito». «Come è andato?». «Bene, l’ho superato. Non ho fatto nessun errore». «Complimenti, intanto. Sei stata molto brava, so che non è facile. Ma perché vuoi entrare per fare solo un’ora?». «Per seguire la lezione di italiano. Non vorrei perderla anche perché la prossima settimana c’è il compito». «Chi è la tua professoressa?» chiedo per curiosità. Mi dice il cognome, poi aggiunge il nome per essere sicura che abbia capito chi è. Sorrido. Naturalmente è diverso se vuole entrare per il piacere di fare la lezione o per paura del compito. Credo ci sia l’uno e l’altro, ma evito di indagare. In ogni caso, il suo comportamento mi pare apprezzabile. «Come ti dicevo, la scuola ha le sue regole, non è un autobus dove si sale e si scende quando ci pare. Comunque hai spiegato perché sei arrivata ora e perché vuoi entrare. Per noi è importante che i ragazzi motivino le loro azioni e si assumano le loro responsabilità. Puoi andare in classe».
Due piccole storie molto diverse. Nel mondo della scuola comportamenti problematici e virtuosi si alternano continuamente. A volte nella stessa persona. In quel giorno emerge anche la vicenda di un ragazzo che studia poco e ha atteggiamenti scorretti, ma si prende cura più di tutti del compagno con disabilità.
Siamo spesso tentati di dividere gli studenti in buoni e cattivi. Ma le questioni sono complesse. Ognuno ha il suo percorso. Attribuire etichette morali ai ragazzi è sbagliato e spesso controproducente. Credo che invece dovremmo guardare alle azioni che compiono, analizzarne le ragioni e aiutarli a trovare la loro strada nel rispetto delle regole di una comunità civile.
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