In questi giorni si parla molto dell’invasione della Siria da parte della Turchia e della persecuzione dei curdi. Di fatto si parla di guerra. Dell’ennesima guerra in giro per il mondo. Ne parlano in tanti, ma non la scuola. Tranne qualche caso di insegnante illuminato, a scuola di guerra non si parla. O, meglio, si parla solo delle guerre del passato. Di tutte le guerre raccontate dai libri di storia, dalle puniche fino alla seconda guerra mondiale. Però delle guerre contemporanee no. E’ vero che a scuola si parla poco di attualità in generale. Ma ancor meno si studiano le guerre che si combattono oggi nel mondo. Forse perché rimuovendole allontaniamo l’idea che possano capitare da noi. Ci convinciamo che si tratti di fatti distanti, che non ci riguardano. Anche se chiunque capisce che in realtà nel mondo globalizzato tutto è vicino, tutto tocca tutti. Non vediamo, o non vogliamo vedere, che ogni cosa è collegata alle altre, che quello che succede in luoghi lontani ha origini e conseguenze anche da noi. Come molti dicono, viviamo un passaggio storico in cui prevalgono i campanilismi, i nazionalismi. Sembriamo tutti interessati unicamente alle vicende di casa nostra, a quello che accade nella nostra città, nel nostro Paese. Al limite, ci preoccupiamo dell’Europa che sentiamo vicina: la Francia, la Spagna, la Germania. Il resto è sfumato, sembra non riguardarci. Tiriamo su futuri cittadini del mondo, che però di gran parte del mondo non sanno nulla. Un morto per incidente stradale nella nostra città finisce in prima pagina, mille morti in una guerra ad alcune centinaia di chilometri occupano a malapena un trafiletto. In questo c’è certamente una responsabilità della stampa. Ma è anche un fatto culturale, sociale che riguarda ognuno di noi. «Basta che non tocchino la mia famiglia o i miei amici, del resto non mi importa», si sente ripetere.
Ecco, forse potremmo provare a cambiare prospettiva, guardare oltre il nostro cortile. E, relazioni affettive a parte, considerare le persone davvero tutte uguali. I vivi e i morti. Una vittima in Siria non dovrebbe valere meno di una vittima in Italia. Neanche per noi italiani. Se ci liberiamo di alcuni pregiudizi, ce la possiamo fare a passare da una mentalità egocentrica a una più solidale. Su questo i ragazzi, che sono naturalmente cosmopoliti, ci possono aiutare. La scuola ha il compito di aumentare il livello di cultura e di consapevolezza delle nuove generazioni. In genere lo facciamo, ma sulle guerre non abbastanza. Forse perché anche noi adulti non ne sappiamo granché. O forse perché parlare di morte un po’ ci spaventa, non siamo pronti a discuterne in classe. Ma non possiamo più rimanere inerti. Le stragi di innocenti nel mondo ci interrogano tutti. E tutti dovremmo trovare qualcosa da dire e azioni concrete da compiere.
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