Non si può stare più a guardare, bisogna esporsi. Il crollo di fiducia nella politica e nelle istituzioni non consente di rimanere ancora neutrali. Qualunquismo, liberismo ed individualismo stanno diffondendosi pericolosamente nella nostra società, aprendo la strada all’idea che occorra fare da soli perché dell’”altro” non ci si può fidare. Per contrastarli non servono cortei di “anime belle” e nemmeno convegni nei quali si enunciano principi generici sui quali siamo tutti d’accordo. Servono invece idee nuove, che tengano conto del tempo che stiamo vivendo e costruiscano un orizzonte culturale diverso. E serve provare a essere visionari. A cominciare dalla scuola, che ha il difficile compito di fare cultura ed educazione, ricreando quel tessuto sociale che appare drammaticamente lacerato. Di più. La scuola deve pazientemente ricostruire un’etica pubblica, un pensiero collettivo, l’idea di sentirsi parte di una comunità. Per fare questo non possiamo continuare a tenere la testa bassa e pensare che sia sufficiente svolgere bene il nostro compitino. Non basta più. Non basta più insegnare facendo lezioncine dignitose. Non basta più che il preside applichi correttamente le norme o tenga le aule pulite. Occorre invece alzare lo sguardo e mettere in campo un’idea chiara di scuola e di società. Proverei innanzitutto a recuperare lo spirito di servizio, cominciando da chi ha più responsabilità. Le presidenze non possono essere bunker inavvicinabili, dove gli appuntamenti si prendono settimane prima. Oggi è sempre più doveroso praticare la politica della “porta aperta” perché chi occupa posizioni di potere deve rispondere prima degli altri alla comunità delle proprie azioni e dei propri risultati. La scuola dovrebbe poi essere di tutti e per tutti. In un tempo in cui si alimentano conflitti e divisioni all’interno della società, occorre rafforzare gli elementi di condivisione, accoglienza ed inclusività, abbandonando l’idea che oggi la priorità sia fare selezione. Non si può più accettare, ad esempio, che esistano scuole con centinaia di ragazzi stranieri e studenti disabili, mentre altre li rifiutano o ne accolgono pochissimi. Perché l’educazione deve servire a contrastare le disuguaglianze, non a riprodurle. Invece si vedono ancora troppe scuole scelte in base alle classi sociali o in cui si propongono distinzioni tra le sezioni degli studenti bravi e quelle dei “reietti”. Con il consenso di alcuni genitori e docenti che pretendono di stare nelle sezioni migliori e di presidi che avallano tutto questo. Forse potremmo cominciare a dare valore allo stare con tutti. La sensazione è che alla scuola serva una scossa che la scuota dal torpore e la aiuti a ritrovare la sua identità culturale e sociale. Ma dobbiamo farlo tutti insieme, studenti, genitori, insegnanti, presidi, istituzioni, sindacati, associazioni, cittadini. Avviamo allora un confronto aperto tra chi si muove in campo progressista. Perché è urgente prendere posizione, contrastando l’idea di una scuola fatta di ordine e disciplina, di nozionismo, di approcci direttivi e autoritari. E favorendo invece la costruzione di una educazione moderna, che consenta a studenti ed insegnanti di esprimersi liberamente, che coltivi le loro passioni, che curi il loro benessere, che riconosca i loro diritti e si ponga innanzitutto l’obiettivo di farne cittadini consapevoli, autonomi e critici. Perché le scuole non sono caserme. Sono laboratori di civiltà e di creatività. E forse solo dalle scuole può ripartire oggi la speranza di una società più giusta.
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