Convoco in presidenza uno dei “fenomeni” della scuola. Sono i ragazzi che si atteggiano da boss e parlano da pari a pari con tutti. Perché non hanno paura di nessuno, loro. Entra caracollando. “Cosa c’è?». «Mi dicono che a scuola non ti comporti bene”. “Chi, io? A me non sembra». «Hai preso un rapporto e ci sono un po’ di problemi con i compagni». «Problemi? Quali problemi? Io non ho problemi con nessuno». «Sembra che spesso rispondi male ai docenti». «Io rispondo male solo a chi mi tratta male». «Poi mi raccontano che disturbi continuamente la lezione». «Non è vero. Ma tanto è la solita storia. Come con la polizia. Se io dico una cosa e il poliziotto un’altra, a chi credono? Certo non al ragazzo. E così a scuola. Si crede sempre ai professori e mai agli studenti». Dopo un po’ arriva una ragazza “normale”. «Preside, vorrei dirle che nella mia classe c’è troppa confusione e ho difficoltà a seguire le lezioni». La scuola pubblica deve imparare a occuparsi di tutti. Cercando pazientemente un filo tra la difesa degli insegnanti e la fiducia negli studenti, tra la rieducazione dei “fenomeni” e la tutela del diritto allo studio dei “normali”. Ce la possiamo fare.
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