A sinistra forse qualcosa si muove. L’appello di Massimo Cacciari e altri intellettuali apre scenari nuovi e sembra aver fatto breccia nel popolo progressista. Alcuni leader nazionali propongono percorsi unitari che facciano tesoro degli errori passati. E anche in Toscana, dove il PD ha perso tutto quello che era possibile perdere, si intravedono spiragli, come dimostra l’interessante intervista su Repubblica Firenze di Emiliano Fossi, uno dei pochi sindaci di sinistra ad essere confermato. Non a caso.
Viviamo un momento politicamente delicato, nel quale tutti dovremmo prendere posizione. Stiamo con Salvini che alimenta la paura del diverso o dalla parte di una comunità aperta e accogliente che aiuta chi ha bisogno, indipendentemente dalla sua nazionalità o dal colore della sua pelle? Riteniamo che gli immigrati rappresentino un problema o una risorsa? Pensiamo che debba esistere solo la famiglia tradizionale o che possano essere garantite tutte le forme di unione civile? Consideriamo il cattolicesimo religione di Stato e vogliamo il crocefisso negli uffici pubblici o crediamo in uno Stato laico e pluralista? Rispondendo a domande come queste, si comincia a capire da che parte stiamo. Ma per la ricostruzione dell’area progressista serve molto di più.
Quell’area è stata condizionata in questi anni, nel bene o nel male, dalla personalità di Matteo Renzi. Sono fra quelli che credono che Renzi non sia stato né il Demonio né il Salvatore della Patria e che abbia fatto cose importanti e gravi errori in misura piuttosto equivalente. Di entrambi non si riesce però a fare un’analisi serena perché in campo ci sono ancora troppe tifoserie, animate da odi e rancori. Ritengo che il PD sia stato mosso da un’autentica ispirazione riformista, ma si sia posto in modo arrogante, non dialogando davvero con il suo popolo e con le forze sociali. Questo ha prodotto un rinnovamento dall’alto, a tratti autoritario, che ha perso un po’ la bussola. E il cambiamento senza consenso apre poi la strada a movimenti reazionari, come si è visto. D’altro canto, i partiti alla sinistra del PD, sia pure portatori di ideali antichi e importanti, quali quelli dell’uguaglianza e della giustizia sociale, propongono formule che riscuotono scarso consenso perché appaiono conservatrici e non in grado di rispondere alle esigenze della modernità.
Per provare a ripartire, l’area progressista potrebbe intanto guardare le cose come stanno e avere fiducia nella democrazia. Ci sono ragioni che hanno portato il PD al 40% delle Europee e altre che lo hanno condotto alla disfatta, insieme agli altri partiti della sinistra, nelle elezioni del 4 marzo. O le riconosciamo entrambe o altrimenti viene da pensare che riteniamo gli elettori bravi e democratici quando votano i nostri e brutti e cattivi quando votano gli altri. Liquidare come fascisti o qualunquisti milioni di elettori che prima sceglievano la sinistra e oggi si sono spostati su Lega o Cinquestelle significa considerarli improvvisamente impazziti e chiudere gli occhi su quello che sta succedendo. Così facendo, non usciremo mai dal buco nero in cui ci siamo cacciati e ci aspetteranno molti anni di opposizione.
Il consenso perduto si ritrova ricostruendo il nostro campo, non parlando male degli avversari. Eppure gli interventi di alcuni leader della sinistra si occupano molto degli altri partiti e poco di sé stessi. Servirebbe invece mettersi pancia a terra con umiltà e ascoltare i sentimenti e le intelligenze delle persone. Per cercare il filo di un’identità collettiva, un nuovo progetto di società che sappia convincere e appassionare.
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