La scorsa settimana un genitore ha preso a pugni una preside. Le associazioni di categoria si sono prontamente schierate a difesa della vittima. Altre volte è capitato che fossero aggrediti gli insegnanti e anche in questi casi si sono moltiplicati gli attestati di solidarietà. Spesso le difese scattano d’ufficio, senza conoscere i fatti. Nel frattempo scorrono fiumi di inchiostro sui giornali per dire che non se ne può più, che bisogna mettere un freno ai genitori invadenti e irrispettosi. Si attende il caso di un insegnante che alza le mani su un padre o una madre per far mobilitare anche le associazioni di genitori contro le prepotenze della scuola. Siamo tutti d’accordo che la violenza vada condannata, da qualunque parte provenga. Ma non possiamo pensare che viviamo in un mondo di pazzi. E non possiamo nemmeno reagire a questi fatti con un riflesso corporativo. Troppo facile. Così la nostra società e la nostra scuola diventeranno un teatro di guerra, in cui ognuno schiera i propri eserciti in difesa delle proprie ragioni. Convinto di essere nella squadra dei buoni, cerca di sconfiggere i cattivi e far trionfare il Bene. Il suo, naturalmente. Perché nel frattempo invece il Bene Comune sarà andato serenamente a farsi fottere. Con rispetto parlando.
Dovremmo invece cercare di capire cosa sta succedendo, analizzare le ragioni del nervosismo diffuso. E cercare delle strade. Non ne abbiamo molte davanti. Certo non quella di rimpiangere i bei tempi andati. Che spesso tanto belli non erano. Possiamo solo provare a ricostruire pazientemente le fila di una comunità lacerata. Dialogando, ascoltando le ragioni degli altri, cercando il senso del nostro stare insieme. E’ un lavoro faticoso, ma appassionante. L’unico che ci può tenere lontano dalle risse a cui assistiamo tutti i giorni in televisione e nella vita reale.
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