Il 2016 sarà un anno delicato per il mondo della scuola, che si troverà a fare i conti con questioni antiche e una riforma controversa. Serviranno l’intelligenza di tutti ed uno spirito nuovo per realizzare cambiamenti veri e non ricadere in vecchi schemi conflittuali, che finiscono per trasformare ogni momento di confronto nell’ennesima occasione mancata. C’è un’espressione con la quale si potrebbero definire oggi molte dinamiche relazionali nella politica, nella società e nella scuola: “giochi a somma zero”. Sono quei giochi in cui alla vittoria di una parte deve necessariamente corrispondere la sconfitta dell’altra. Si vede ad esempio tra Governo e parti sociali, in cui entrambi sembrano cercare in tutti i modi di delegittimarsi a vicenda. Nella scuola i giochi a somma zero sono molti. Alcuni genitori pretendono di insegnare agli insegnanti come si insegna. I ragazzi rivendicano maggiore spazio a scapito degli adulti. Una parte dei docenti difende la propria professionalità e mette sempre maggiori distanze con gli studenti e le famiglie. Ci sono presidi che sperimentano forme autoritarie di gestione del potere, mentre gli insegnanti cercano di ridimensionarli in nome di una scuola egualitaria. Sono solo alcuni esempi di un modello conflittuale, secondo il quale si ritiene necessario far prevalere la propria posizione per paura di soccombere. Ma la fase che stiamo attraversando è troppo delicata per credere che si possano raggiungere risultati positivi attraverso conflitti e prevaricazioni. Ci sono molti rischi che si creino pericolose fratture di carattere sociale e culturale. Dobbiamo evitarlo a tutti i costi, recuperando il senso di una storia condivisa, il valore di una comunità plurale, capace di accogliere punti di vista diversi. Oggi più che mai serve sperimentare modelli di gioco a somma positiva o “win-win”, nei quali si prova, attraverso la collaborazione, a cercare soluzioni che consentano a tutti di uscire vincitori. Naturalmente questo non vuol dire azzerare le differenze o confondere ruoli e identità, ma al contrario esaltarli in una dinamica relazionale corretta. Le democrazie forti hanno bisogno di Governi e sindacati autorevoli che si riconoscono. Per questo non c’è futuro per un Paese se il Governo non rinnova i contratti o se i sindacati si arroccano in una logica antagonista. E non c’è futuro per una scuola se non si dà voce a tutti i soggetti, in un contesto che però deve mantenere il rispetto reciproco delle parti. Maggiori poteri al preside, ampia tutela della libertà di insegnamento e un più forte protagonismo di studenti e famiglie sono compatibili nel quadro di relazioni a somma positiva, che sono certamente possibili, ma vanno costruite. Il 2016 può essere un anno di svolta per la nostra società e per la nostra scuola. Cominciamo a raccontare le mille occasioni nelle quali i sindacati e le istituzioni collaborano anteponendo l’interesse collettivo a quello di parte. E valorizziamo il lavoro di tanti presidi, docenti e personale amministrativo e ausiliario che costruiscono tutti i giorni una scuola migliore. Ma, nella situazione che si è creata, serve anche una “mossa”. E spetta a chi ha più potere: il Governo sul piano generale, il preside nella scuola. La mossa che dovrebbe arrivare è un segnale forte e chiaro di apertura al confronto. Perché appare fondamentale ribadire un principio semplice: in una comunità che funziona, la rotta da seguire si decide tutti insieme. Poi ognuno farà la propria parte.
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