«Marco, quanto vuoi continuare ancora a fare così?». «Basta prof, ho deciso che da ora in poi mi comporto bene. Le cazzate da raccontare ai miei figli ce le ho già». Genio. Naturalmente non è vero che comincia a comportarsi bene. In classe è irrequieto. Stuzzica i compagni, si distrae, gioca con il telefonino, chiede di uscire. Non ce la fa. Il giorno dopo la professoressa fa vedere un film alla classe, proprio per cercare di catturare quelli come lui. Quando lo rimprovera perché non sta seguendo, lui risponde: «Prof, non stava facendo cose importanti. Se avesse fatto davvero lezione, non mi sarei mai permesso di non seguire».
Marco provoca, vuole essere protagonista. È simpatico, sveglio. Ma nel sistema della scuola “non ci sta dentro”. Lo agitano altre cose. Se lo prendi con le cattive, accusa il colpo. Si comporta bene per un momento, poi ricomincia. Se lo accogli, parla, si apre, racconta. Mescolando verità e bugie. E comunque dopo riprende gli stessi comportamenti di prima. È una battaglia difficile. Che per ora abbiamo perso. Anche se lui a scuola viene volentieri. E questo è comunque un risultato perché non si trova per strada a frequentare brutti giri. Almeno non la mattina. La sera non si sa, probabilmente sì. I genitori naturalmente non sanno più cosa fare.
Eppure la sfida vera dell’educazione sta nella relazione con i vari Marco che incontriamo a scuola. È lì che si nasconde il senso più profondo del nostro lavoro, il segno dei nostri successi e delle nostre sconfitte. La partita con Marco però non si gioca solo con lui. Si gioca anche con tutti i fantasmi personali, sociali, culturali che si porta dentro senza saperlo. I ragazzi di questa età “sono agiti”, come dicono gli psicologi. È come se fossero in balia di un demone del quale intuiscono le forme, ma che non sanno governare.
Noi non possiamo fare altro che stare lì con loro. Offrire uno specchio dove guardarsi, dei limiti da tenere, uno spazio per esprimersi. Senza prediche e senza reprimende fini a se stesse. E’ una questione di sguardi, di dialoghi, di gesti. Ed è importante esserci. Un giorno forse la nostra presenza se la ritroveranno.
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