Vedo una collaboratrice scolastica ferma davanti alla presidenza con due vicepresidi. Ha gli occhi lucidi. Le chiedo di entrare per parlare in modo riservato. «Posso chiederle cosa succede?». Si porta le mani al volto, in un gesto tenero di pudore. Poi apre la borsa ed estrae un foglio, una comunicazione INPS. Ha una certa età, non è difficile capire di cosa si tratta. «Va in pensione?». Annuisce. E non riesce più a trattenere le lacrime. Cerchiamo tutti di consolarla, dicendo le solite cose. Che manca ancora un anno, che alla fine faremo una bella festa e che poi inizierà una fase con nuove opportunità. Ma non abbiamo grande effetto. Lei è profondamente triste. Allora le chiediamo della sua carriera e ci racconta un po’ di aneddoti che testimoniano di come sia diventata un punto di riferimento per gli studenti. Li riempie di attenzioni e loro ricambiano con affetto. Questa piccola storia dovrebbe farci riflettere su due cose.
Innanzitutto, su quanto trascuriamo l’importanza di quelli che una volta si chiamavano “bidelli” e oggi sono i collaboratori. Si occupano dei nostri ambienti, ma soprattutto, negli angoli segreti delle nostre scuole, svolgono un lavoro silenzioso e prezioso di ascolto e cura degli studenti. Non a caso alcuni ragazzi, diventati adulti, si ricordano più di loro che di insegnanti e preside.
Poi c’è la questione della pensione. Qualcuno la attende come una liberazione, altri la vivono con il senso di vuoto di chi conclude un’attività che ha svolto con impegno e passione. La custode in lacrime dovrà reinventare le proprie giornate. E non sarà facile. Dovremmo parlare di più di questo. Un Paese civile si riconosce anche da come accompagna e si prende cura dei propri cittadini nei passaggi cruciali delle loro vite. La trasformazione da lavoratore a pensionato può portare solitudine, depressione, sentimento di inutilità. Servirebbe forse un “assessorato al riorientamento”, un servizio per gli anziani che li aiuti a ritrovare una nuova identità sociale e a riscoprire il piacere di appartenere alla comunità.
18 Novembre 2024 alle 0:40
Quanta verità in queste parole sensibili e intelligenti…sono una docente delle superiori e, da un mese, sono andata in pensione. Mio malgrado…Sì, perchè se non avessi raggiunto l’età massima prevista, avrei continuato a insegnare con entusiasmo. All’ultimo collegio docenti, assieme a me, c’erano altre tre colleghe: due felicissime e due, tra cui io, quasi sconcertate, occhi lucidi e nodo alla gola. Dopo, le vacanze, apparentemente uguali a tutte le altre, ma diverse, lo sappiamo bene. E, da settembre, una vita da ricostruire…Lei ha ragione a parlare della necessità di un riorientamento, ma a mio avviso dovrebbe essere affiancato da iniziative sociali di vario genere … Penso, però, a un’altra carenza del nostro sistema…ci sono docenti pensionati che vorrebbero e potrebbero ancora costituire un valore aggiunto per la scuola, e costituiscono una ricchezza in termini di professionalità: un valore che non viene sfruttato ma potrebbe essere molto utile. Penso al tutoraggio docenti neoimmessi, al potenziamento…