Sinner, il migliore tennista italiano e tra i primi dieci nel mondo, è uscito molto presto dal Roland Garros, il più importante torneo su terra battuta, nonostante fosse uno dei favoriti per la vittoria finale. Dopo la sconfitta, inaspettata e rocambolesca, un giornalista gli ha chiesto: «C’è una lezione che hai imparato oggi?». Lui ha risposto così: «Forse avrei dovuto essere più felice, come sono sempre anche se non lo faccio vedere. Sorridente dentro. Oggi non ero così. Quando mi manca quel tipo di ricetta, faccio più fatica. Questa oggi è la mia lezione. D’ora in poi sarò molto più felice, perché mi serve». Abituati a sentire dichiarazioni banali, le frasi di Sinner mi hanno colpito e sorpreso.
In questi giorni, chi è dentro il mondo dell’educazione parla molto di due cose: la fine della scuola, con le vacanze imminenti, e Don Milani, con le celebrazioni per il centenario della sua nascita. Le parole di Sinner mi rimbalzano in testa e mi sembra abbiano a che fare con entrambe le cose. La felicità di ragazzi, insegnanti, Ata e presidi quando terminano le lezioni è naturalmente comprensibile. Ma la misura di quella felicità mi mette sempre un po’ di malinconia. Si ha la sensazione che per la scuola la vera Festa della Liberazione sia il 10 giugno, quando chi vive nelle aule si libera dall’oppressione. Solo che gli oppressori siamo noi, gli uni per gli altri. Per molti studenti gli oppressori sono i professori, per insegnanti e Ata lo sono studenti e presidi e i presidi si sentono oppressi da insegnanti, Ata, famiglie e Ministero.
Non sono uno studioso di Don Milani. L’ho solo letto e amato come tanti. Ma l’idea che mi sono fatto è che per lui la felicità consistesse nell’andare a cercarsi i ragazzi in posti sperduti e tirarli fuori dai campi per farli studiare. La sua felicità era il lavoro. Che quindi non era il lavoro per come lo intendiamo noi. Era la sua vita e il suo piacere. E credo che piano piano anche per i suoi studenti stare con lui a studiare fosse diventato un piacere, la loro felicità. Al contrario di quanto avviene spesso oggi, per loro quella scuola non era l’oppressione, ma la liberazione dall’oppressione.
Ecco, vorrei che anche noi riscoprissimo la liberazione nella scuola, non dalla scuola. Perché essere felici quando andiamo in vacanza va bene. Ma dovremmo provare a essere felici anche quando torniamo a scuola.
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