Mi telefona il genitore di una ragazza di quinta. «Buongiorno preside, mia figlia non vuole più venire a scuola, ha deciso di ritirarsi». Già lo scorso anno non è stata ammessa alla maturità per le assenze. «Senta, perché non viene qui e ne parliamo di persona? Però è importante che venga anche la ragazza». Arrivano subito. La conversazione dura quasi un’ora. Ma i silenzi prevalgono sulle parole. Il padre non dice quasi nulla, lei si esprime a monosillabi. E guarda sempre in basso. Raramente riesco a intercettare il suo sguardo. «Raccontami», le chiedo per iniziare. «Mi voglio ritirare». «Questo l’ho capito, ma perché?». «Perché altrimenti faccio tante assenze e poi boccio». «Guarda che se ti ritiri perdi l’anno lo stesso. Se invece rimani iscritta, potresti ripensarci e ricominciare a frequentare». «No, ho deciso, non ci ripenso. Preferisco ritirarmi». «Ma ti ritiri per fare cosa? Hai proposte di lavoro?». «No, semplicemente non voglio più venire a scuola». «Sai bene che hai già perso un anno per le assenze. Forse è il caso di capire cosa succede. Potresti chiedere aiuto, come facciamo tutti nei momenti di difficoltà. Hai pensato ad andare da uno psicologo?». Interviene il padre. «Le ho preso due appuntamenti, ma non ci è voluta venire». «C’è uno psicologo anche a scuola. Però bisogna capire cosa pensa di fare sua figlia». «Io voglio ritirarmi», ripete lei. «Sarei più tranquilla, non sentirei la pressione di compiti e interrogazioni». Poi si smentisce. «Magari mi iscrivo da un’altra parte». «Guarda, se il punto è che non ti trovi bene da noi, firmo subito il nulla osta per un’altra scuola. Però tu poi devi impegnarti a frequentarla. Ma sei sicura che la questione sia questa?». Silenzio. Cerco un’ultima strada. «Sei rimasta in contatto con qualche compagna?». Interviene di nuovo il padre. «E’ sola, sta sempre in casa, non vede mai nessuno». Lei si chiude di nuovo nel suo mutismo. Lo sguardo fisso sul pavimento. Decido di fermarmi. Oltre un certo limite non si può andare. Abbiamo il dovere di rispettare i tempi e le sofferenze dei nostri ragazzi. Aggiungo solo un’ultima considerazione. «Non voglio ostacolare le tue decisioni. Ma ti prego di riflettere bene su quello che senti, su quello che vuoi fare. Prenditi qualche giorno e poi ci rivediamo». Si alzano. Il padre è in difficoltà. Lei va via delusa. Non ha ottenuto quello che voleva, non è riuscita a liberarsi del peso della scuola. Per il momento.
Alcuni studenti che incontriamo sono precipitati in abissi di solitudine dai quali non ce la fanno ad uscire. E che per noi sono inaccessibili. Non possiamo offrire altro che la nostra vicinanza. Ma a volte non basta. L’educazione è fatta anche di fallimenti, degli sguardi perduti dei ragazzi che non riusciamo ad agganciare. Che però ci rimangono addosso più dei sorrisi di chi abbiamo aiutato.
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