In questi giorni si è aperto un acceso dibattito sugli esiti delle prove Invalsi nella scuola. Semplificando, raccontano di competenze linguistiche e matematiche inadeguate, di difficoltà nel comprendere testi di media complessità, del forte divario Nord-Sud, del ritardo sull’inglese rispetto ad altri Paesi. Dico subito che non credo all’attendibilità di questi test. E non credo all’attendibilità della maggioranza dei test, compresi quelli europei. Lo affermo avendo un riscontro preciso. Sono il dirigente scolastico di una scuola a indirizzo linguistico. Da molti anni facciamo scambi con scuole di altri Paesi, europei ed extraeuropei. I nostri studenti e i nostri insegnanti hanno così modo di confrontarsi. Puntualmente tutti ripetono le stesse cose. Gli studenti italiani sono mediamente più preparati dei loro coetanei stranieri. Sanno più cose, studiano di più a scuola, studiano di più a casa. Lo dicono i nostri studenti e i nostri insegnanti, ma anche gli studenti e gli insegnanti degli altri Paesi. Se questo è vero, come si spiega che i nostri risultati siano regolarmente tra i più bassi in Europa? E come si concilia con il fatto che la scuola italiana sia unanimemente considerata vecchia? Proviamo a ragionarci. L’impostazione tradizionale della nostra scuola, il carico di compiti a casa, il numero di materie e di ore svolte in classe garantiscono ancora oggi mediamente una buona preparazione. Almeno per quanto riguarda l’area delle conoscenze, che ha un valore formativo importante, nonostante gli attacchi ricevuti in questi anni. La nostra scuola e i nostri studenti mostrano invece debolezze sul piano delle competenze e dell’autonomia. Perché facciamo poco per mettere alla prova della realtà le conoscenze acquisite. E perché non consentiamo agli studenti di sperimentarsi. La scuola italiana è ancora centrata sul ruolo attivo dell’insegnante e sull’idea che gli studenti debbano “stare al loro posto”, per poi ripetere quello che gli insegnanti dicono. Le cose stanno cambiando. Ma troppo lentamente. Non aiutiamo però la scuola se la giudichiamo con i test. O con lenti che paiono adatte a un tempo che non c’è più. Forse va avviata una discussione nuova basata su alcuni principi. Gli studenti dovrebbero rispettare maggiormente il principio di competenza e accettare di imparare da chi ne sa più di loro. E gli insegnanti potrebbero riconoscere che oggi le cose che hanno studiato non bastano più. Non è vero che i ragazzi sono divenuti analfabeti. E’ che hanno un altro alfabeto. Da conoscere e contaminare con il nostro per costruirne uno diverso. Il senso della scuola, le conoscenze, le competenze e quanto serve per vivere in modo autonomo e consapevole nel mondo di oggi dovremmo ricercarli tutti insieme, adulti e ragazzi. E insieme rifondare un nuovo discorso sul sapere, una nuova idea di comunità.
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