Un gruppo di presidi e di sindacalisti della Cgil si sono ritrovati qualche giorno fa per discutere del malessere della categoria e delle forme di mobilitazione da adottare. Ne è nato un confronto appassionato tra persone di sinistra che ha toccato i temi della scuola, del sindacato e della società. Un vero dibattito sulla modernità, su come rinnovare la rappresentanza e la democrazia nei luoghi di lavoro, cercando di sfuggire ai particolarismi e ai qualunquismi che affliggono il tempo in cui viviamo.
«Ora basta. Noi presidi siamo carichi di mille responsabilità e sopraffatti dalla burocrazia. Dobbiamo reagire». «Il malessere è reale, ma evitiamo di scivolare nel corporativismo dividendo il mondo della scuola, che invece ha bisogno di rimanere unito». «Proprio per questo il nostro sindacato non deve cadere nell’errore di isolare i presidi, facendo pagare a loro le critiche alla “Buona Scuola” e identificandoli come gli interpreti di una scuola autoritaria». «Siamo i dirigenti pubblici meno pagati e sottoposti a una valutazione sbagliata. Fatta sui documenti e non su quello che conta. Se compilo per bene tutte le carte e trascuro il personale e gli studenti, rischio di ricevere un’ottima valutazione. Questo non va bene e deve essere cambiato». «I presidi hanno molte ragioni, anche se alcuni ne combinano di tutti i colori e c’è da spaventarsi a dar loro troppo potere». «Ma la strada per rimediare alle prevaricazioni non può essere quella di legarli mani e piedi. Ognuno deve svolgere il proprio ruolo. Se pensiamo che tutti facciano tutto, ritorniamo al vecchio assemblearismo che non fa bene a nessuno». «Siamo d’accordo. Il dirigente scolastico deve avere la possibilità di dirigere, altrimenti che dirigente è? Poi, certo, ci deve essere un controllo serio sul suo operato». «Bisogna essere meno diffidenti verso chi ha più potere perché siamo tutti dalla stessa parte, lavoriamo tutti nell’interesse dei ragazzi. La nostra strada deve essere quella di riconoscere al preside una leadership partecipativa. Poi l’attenzione per i più deboli e la logica comunitaria della Cgil andrebbero salvaguardate».
Gli umori e le idee tra noi sono diversi, ma ci muoviamo in una cornice culturale comune. Una discussione come questa porta con sé due valori fondamentali. Che forse oggi sarebbero utili anche al centrosinistra per ritrovare il filo della sua azione politica. La passione per il confronto e la preoccupazione per l’interesse collettivo. Abbiamo bisogno di parlare e di ascoltarci, di dialoghi franchi e aperti tra persone libere, che ragionano con la propria testa. Cercando punti di incontro che non producano il solito immobilismo e promuovano invece un rinnovamento reale della società.
Nel nostro piccolo, ci stiamo provando. La Cgil rimane il sindacato che cerca di mettere d’accordo le ragioni di categorie diverse. Come avviene all’interno di una scuola. Ma dobbiamo farlo in modo nuovo rispetto al passato. Occorre tutelare i diritti dei lavoratori senza arrecare danni a chi fruisce di un servizio. Perché l’alleanza tra lavoratori e cittadini è diventato un valore imprescindibile, se si è veramente interessati al Bene Comune. Che andrebbe perseguito creando comunità in cui tutti hanno più voce. Non è un’utopia. Una scuola più forte e democratica, ad esempio, è quella in cui convivono la massima condivisione su principi e procedure insieme al rispetto della libertà e dell’autonomia di tutti, ognuno nel proprio ruolo: dirigenti, docenti, studenti, amministrativi, tecnici, custodi. E’ una direzione precisa. Per la scuola, per il sindacato, per la società. Ce la possiamo fare?
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