Il 14 settembre riprenderanno le lezioni, ma il vero giorno di riapertura delle scuole è oggi. Si tiene il primo collegio dei docenti, preside e insegnanti si ritrovano per il rito simbolico che dà ufficialmente avvio all’anno scolastico.
Per ragioni di sicurezza, molti hanno deciso di riunirsi online, una forma che comunque non impedirà il confronto. Ma personalmente ritengo che, dopo quello che abbiamo vissuto, fosse importante dare un segnale diverso. Per questo, e per avere il piacere di essere fisicamente insieme, al Marco Polo di Firenze faremo il collegio in presenza e all’aperto, nell’anfiteatro di Villa Strozzi.
In tutte le scuole saremo animati da sentimenti contraddittori, tra desiderio di ricominciare e preoccupazioni per il futuro. E’ facile prevedere che si tenderà, giustamente, a parlare molto di Covid e sicurezza. Ma non possiamo chiuderci in discussioni di carattere sanitario, non possiamo limitarci a un confronto su mascherine, gel e distanziamento. Dobbiamo anche elaborare quello che è successo, rinnovare il nostro modo di fare educazione alla luce delle esperienze vissute. Per questo ho deciso di dividere il collegio di oggi in due parti. La prima sarà dedicata a questioni organizzative, nella seconda dialogheremo su come far ripartire la scuola. La forma sarà inusuale. Abbiamo coinvolto studenti ed esperti e chiesto loro di scrivere lettere agli insegnanti in cui esprimono sentimenti e auspici sulla riapertura della scuola. E abbiamo proposto ad alcuni attori, coordinati da Lorenzo Degl’Innocenti, di leggerle. Ecco alcuni brevi spunti tratti da queste lettere.
Eraldo Affinati parla del lavoro dell’insegnante, il “mestiere dei fiaschi”, come lo chiama. «Quando spiega, scopre gli ingranaggi. Trattiene le lacrime. Proclama la Storia. Rifugge dal carisma. Ama le differenze. Accetta la controversia. Certifica i valori esibiti, ma va alla ricerca di quelli nascosti». Paolo Mottana, docente universitario di Filosofia dell’Educazione, ricorda il valore dell’esperienza. «A scuola si vive ora e qui un’esperienza indimenticabile, le cui trame sono fondamentalmente nelle tue mani. Non nel senso che devi fare tutto tu, semmai l’opposto. Ma che tu puoi creare le condizioni perché l’esperienza avvenga. Ogni tua lezione o ogni tua proposta indirizzata a muoversi verso altri luoghi, altri mondi, è un’occasione strepitosa per vivere nell’immenso teatro del sapere». Raffaele Mantegazza, professore universitario di Pedagogia Interculturale, aggiunge una considerazione. «La scuola riparte in presenza: essere presenti significa davanti all’ente, essere qui, ascoltarti. I ragazzi ci guarderanno, ci ascolteranno e ci chiederanno ancora una parola, un gesto, qualcosa che rompa il silenzio, qualcosa che vada al di là della paura». Domenico Barrilà, scrittore e psicoterapeuta, ci invita a privilegiare le domande alle risposte. “Abbiamo bisogno di domande, possibilmente senza risposte, così che tutti possiamo accendere il pensiero e metterci sulle loro tracce. Solo i dubbi ci restituiscono l’inquietudine e l’umiltà dei cercatori, portando la vita dove tutto sembra spento”.
Anche i contributi degli studenti fanno riflettere. «Spero di poter affrontare temi più attuali in classe. Io, ad esempio, sono stata molto stupita dalla violenza sulle donne avvenuta durante la quarantena, di cui secondo me si parla troppo poco». «Durante l’esperienza di didattica a casa c’è stata molta comunicazione con i professori. La cosa bella è che anche loro si sono aperti con noi e magari è capitato che durante una lezione si parlasse più delle nostre sensazioni ed emozioni. Io non perderei questa bella comunicazione e questo avvicinamento che c’è stato fra professore e studente». «”Consapevolezza” è la parola che dovrebbe racchiudere il futuro anno scolastico, desidero fortemente che i professori si mettano nei panni degli studenti e capiscano le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare». “È vero, i mesi di lockdown hanno avuto uno sconvolgente risvolto per le persone, ma per me “interessante”. Hanno arrestato il corso – e la corsa – delle mie giornate, e quindi della mia vita; hanno fermato tutto ciò che faceva parte della routine. Per la prima volta ho ascoltato il “silenzio”, ma questo silenzio mi ha fatto paura, perché era privo di una barriera che potesse allontanare i cattivi pensieri nelle giornate grigie. Il tempo si è come fermato: il mondo, quello fuori dalle case, è sembrato impazzire; i notiziari sono diventati la colonna sonora delle nostre giornate. Ma il tempo in più che ho avuto ha permesso di dedicare molti “spazi” a me stessa».
L’esperimento di un dialogo a più voci che faremo oggi al collegio dei docenti del Marco Polo può aprire una strada. Riscoprire che l’educazione è un fatto collettivo e che dall’emergenza Coronavirus potremo uscirne solo insieme, unendo le nostre intelligenze e i nostri sentimenti per costruire un discorso nuovo sul futuro della nostra scuola e della nostra società.
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