I primi giorni di scuola sono frenetici.
“Buongiorno, mia figlia è stata promossa in quarta, ma vuole cambiare scuola.” “Signora, cambiare in quarta è un po’ difficile, bisogna recuperare tre anni di molte materie.” “Guardi, io sono contraria ma mia figlia decide sempre tutto da sola, io non conto nulla”.
“I banchi! In 3C mancano i banchi, dove li prendiamo?” “Ma come? Ne abbiamo comprati 200.” “Sì, ma abbiamo dovuto spostarne alcuni perché la professoressa non vuole quelli doppi. Dice che gli studenti copiano.”
“Preside, la LIM appena comprata non funziona” “Ha provato ad accendere il pc collegato?” “Ah, ecco”.
“Senta, io quella classe di scalmanati quest’anno non la voglio.” “E a chi la darebbe?” “Non so, a qualcuno più giovane, a me mancano pochi anni per andare in pensione e voglio stare tranquilla”.
“Senta, noi quella professoressa quest’anno non la vogliamo” “E a chi la dareste?” “Non sappiamo, ma comunque a qualche altra classe. Facciamo un po’ per uno”
“In prima ho due studenti che non parlano italiano, che si fa?”, “La ragazza disabile è scoperta, mancano gli insegnanti di sostegno”, “Come facciamo a pulire oggi che non abbiamo cinque custodi?”, “L’erba è alta, ma la Provincia o comediavolosichiamaora dice che non ce la fa a tagliarla”, “La fotocopiatrice si è inceppata e non so aprirla”
Storie ordinarie di una scuola italiana. Che però alla fine riesce sempre a ripartire. Perché poi c’è chi imbianca, chi sposta mobili, chi pulisce le aule, chi installa i computer, chi sistema le faccende amministrative, chi pazientemente educa i ragazzi, chi sostiene i propri figli.
Le discussioni di questi giorni sulla riforma sono importanti. Ma serviranno a qualcosa solo se terremo presente quello che succede realmente tutti i giorni nelle scuole.
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