«Prof, la mia penna non scrive più». «Prendine un’altra». «No, non è la penna di fuori, è la penna di dentro». Succede sempre più spesso. I nostri ragazzi si bloccano. Non riescono a esprimersi, non sanno cosa dire, non sanno come dirlo. Ce lo fanno capire in molti modi. Chiudendosi in loro stessi o diventando nervosi e aggressivi. O ancora nascondendosi dietro un comportamento anonimo: fare semplicemente quello che viene loro richiesto. In alcuni casi, sempre più frequenti, manifestano crisi d’ansia e attacchi di panico, che a volte non consentono loro nemmeno di entrare a scuola. Certo, nell’adolescenza le crisi sono normali. Ma non in questa misura e con queste forme. I ragazzi di oggi sono molto fragili. Forse perché oscilliamo tra l’iperprotezione e un’educazione vecchia e grigia, che fa prediche invece di dare strumenti e buoni esempi. E si dimentica che innanzitutto ai ragazzi dovremmo restituire la parola. Perché se non creiamo spazi per le loro emozioni e i loro pensieri, se non permettiamo che possano sperimentare e sperimentarsi, non potranno mai divenire adulti. A meno che non vogliamo che restino per sempre bambini. Come qualche volta viene da pensare guardando alcune famiglie e alcune scuole.
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