Qualche tempo fa, durante una gita scolastica, uno studente di quinta superiore (diciannove anni suonati) si avvicina al mio tavolo alla fine del pranzo e dice: «Prof, per favore, mi sbuccia la mela?». Ieri un insegnante raccontava che, trascorrendo una giornata in un rifugio con una classe di diciassettenni, si è trovato di fronte ad alcuni che apparecchiavano la tavola e prendevano in mano una pentola per la prima volta nella loro vita. Accanto a questi ragazzi ce ne sono altri cresciuti troppo in fretta. Abituati fin da piccoli a sbrigarsela da soli, cucinando, pulendo casa, badando ai fratellini. Naturalmente esistono anche genitori che promuovono correttamente l’autonomia dei loro figli. Ma ormai nelle scuole non possiamo più insegnare solo la matematica e l’italiano. Dobbiamo anche aiutare a diventare adulti i ragazzi che le famiglie tengono eternamente bambini. E dobbiamo restituire infanzia e adolescenza a chi non le ha mai avute. E’ una sfida difficile, che però può affrontare solo la scuola pubblica, l’unica a garantire il pluralismo e la convivenza tra diversi. Il posto migliore per crescere insieme. Dove possiamo trovare qualcuno che ci aiuta a sbucciare una mela in cambio di un po’ di serenità.
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