Nelle scuole capitano quotidianamente molte cose. Alcune segnano la vita di tutti. Al Marco Polo in questi giorni è successo un fatto drammatico: in pochi mesi, per una grave malattia, è venuto a mancare Massimo, il giovane barista. Si potrebbe pensare che la vicenda, sia pure tragica, rappresenti un fatto marginale perché il barista è un personaggio minore in una scuola. Ma non è così. Ne è stato invece l’anima, per la passione, la gentilezza, l’allegria che ha messo in tutto quello che faceva. Ha prestato attenzione a chiunque incontrasse, ha curato le relazioni, ha fatto un lavoro incredibilmente prezioso per favorire il benessere di tutti. E tutti gli hanno voluto bene. Confermando che spesso le persone semplici lasciano il segno più di chi si ritiene importante.
Quando si è saputo della grave malattia di Massimo, la scuola si è chiusa nel silenzio. Per pudore e rispetto. Ragazzi ed adulti si incontravano nei corridoi e, senza bisogno di parlare, si riconoscevano tutti uniti da un filo di profonda sofferenza per quello che stava capitando. Ma, quando la situazione non ha lasciato più speranze, è sembrato giusto uscire dal silenzio. Perché dire le cose “dopo” non ha lo stesso valore che dirle prima. Abbiamo così deciso di parlare. E il dolore si è liberato, i silenzi sono divenuti lacrime. Ognuno ha espresso i propri sentimenti come lo ha ritenuto opportuno.
E’ iniziato così un percorso difficile. Perché un fatto drammatico può piegare le persone e distruggere i legami che le uniscono. Ma una scuola deve provare a misurarsi con le emozioni e cercare di ritrovare anche nel dolore il senso di una comunità. E’ una scelta culturale che dobbiamo ai nostri ragazzi e a persone come Massimo. La testimonianza che quando qualcuno si trova in difficoltà, ci si stringe intorno a lui e lo si aiuta.
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